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 2014  giugno 17 Martedì calendario

TUTTI I SEGRETI DI UN’INCHIESTA


Una lista di 525 donne che nel corso degli anni avevano avuto almeno un contatto con Giuseppe Guerinoni, l’autista di Gorno individuato come il padre di «Ignoto 1», l’assassino di Yara. Parte da qui l’indagine che ieri ha fatto finire in carcere Giuseppe Bossetti.
La svolta arriva venerdì scorso, quando il test comparativo del Dna fa «match»: Ester Arzufi, 67 anni, è la madre di «Ignoto 1». Negli anni 70 viveva a Parre, è stata l’amante segreta di Guerinoni e nel 1970 ha avuto da lui due gemelli. Al maschio ha dato lo stesso nome di battesimo di Guerinoni. La femmina l’ha invece chiamata Laura, esattamente come la moglie di Guerinoni. Un incrocio perverso che adesso aggiunge nuovi e inquietanti misteri alla vicenda. Anche perché poco prima della nascita dei bimbi la donna aveva deciso di lasciare il paese e trasferirsi nella zona dell’Isola. Ma alla fine è stato proprio questo dettaglio a fornire ai carabinieri del Ros guidati dal generale Mario Parente la traccia decisiva. Il resto lo hanno fatto le verifiche sulle celle telefoniche: alle 17.45 del 26 novembre 2010 il cellulare di Giuseppe Bossetti risulta essere nella zona della palestra. L’uomo fa una telefonata. Un’ora dopo si perdono le tracce di Yara. Il cellulare dell’uomo rimane muto fino alle 7 della mattina successiva quando effettua una nuova chiamata. Che cosa sia accaduto in quelle 13 ore adesso sarà lui a doverlo spiegare.
Migliaia di test Dna
È il Dna a segnare le indagini di carabinieri e polizia dopo il ritrovamento del corpo di Yara il 26 febbraio 2011. Perché quella traccia di sangue nei suoi slip consegna un codice genetico maschile che soltanto l’assassino o un complice può aver lasciato. Viene identificato come «Ignoto 1» e subito dopo si decide di effettuare prelievi su tutti i possibili sospetti, partendo da chi frequenta la palestra dove la ragazzina è scomparsa, il cantiere edile dove i cani molecolari hanno individuato una traccia che inizialmente appare utile, la discoteca davanti alla quale è stato rinvenuto il cadavere.
Il primo tassello va a posto il 21 ottobre 2011 quando la Scientifica scopre che Damiano Guerinoni ha un legame genetico con l’assassino. Vengono prelevati i Dna di tutti i suoi parenti e si arriva a tre cugini (due uomini e una donna) che hanno una percentuale di compatibilità ancora più alta. Si decide così di esumare il corpo del padre di questi ultimi e l’analisi fa centro: è il padre di «Ignoto 1». I test hanno però già escluso dalla lista dei possibili sospetti i suoi figli. Dunque si deve cercare un discendente «illegittimo». Ma soprattutto si deve trovare sua madre, la donna che ha avuto con Guerinoni una storia clandestina.
Le ragazze della valle
Amiche, conoscenti, passeggere del pullman che l’uomo guidava facendo il giro della Val Brembana, tutte le donne vengono «schedate» e sottoposte al test del Dna. Si cercano prima di tutto ragazze madri, ma senza escludere che in realtà anche «lei» fosse sposata. Si allarga il cerchio a tutti gli altri paesi della zona. Il lavoro degli investigatori del Ros e dello Sco è certosino perché anche un dettaglio apparentemente insignificante può fornire il tassello decisivo. Si fa la lista di quelle che si sono trasferite da un paese all’altro. Sono decine di nomi, di nuovi test da effettuare. Si preleva la saliva, si archivia il risultato, si procede alle comparazioni. Si va avanti così per giorni, settimane. Fino a venerdì scorso.
Gli esperti del Ris quasi non ci credono: il codice di Ester Arzufi è perfettamente identico a quello della madre di «Ignoto 1». Scattano gli accertamenti per ricostruire la vita della donna. Si scopre così che nel 1966 ha sposato Giovanni Bossetti e con lui viveva a Parre, lo stesso paese di Guerinoni. Quando rimane incinta decide di andare via e si trasferisce a Terno d’Isola dove dà alla luce i due gemelli. È suo marito a riconoscerli, li tratta proprio come fossero suoi. Dopo qualche anno arriva anche un terzo figlio, la famiglia decide di spostarsi a Brembate. È il paese dove vivono i Gambirasio, il luogo dove Yara sembra essere stata inghiottita nel nulla.
La calce e il telefonino
È la pista giusta, ma non bisogna scoprirsi. Fondamentale è non fare un passo falso che potrebbe distruggere tutto. Gli specialisti del Ros decidono di non effettuare alcuna verifica ulteriore sulla madre, tutta l’attenzione si concentra sul figlio maggiore. E l’identikit dell’uomo sembra combaciare con quello dell’assassino. Fa il muratore, l’autopsia ha accertato che nei polmoni di Yara c’era polvere di calce proveniente da un cantiere e nelle scarpe la ragazzina aveva piccolissimi tondini come quelli usati nell’edilizia. Vengono riletti i risultati dei controlli effettuati all’epoca della scomparsa sui cellulari che avevano agganciato le celle telefoniche sulla palestra e sulla casa di Yara. È un elenco di centinaia di numeri, ma anche in questo caso il test è positivo: il telefonino di Bossetti era lì un’ora prima della sparizione della ragazzina. È un altro dettaglio ritenuto fondamentale dagli investigatori. Quanto basta per decidere di effettuare la controprova che può fornire la certezza scientifica.
Il controllo casuale
L’uomo viene tenuto sotto controllo, intercettato e pedinato. Domenica scatta il controllo casuale. Mentre transita sulla strada verso Seriate lo fermano e lo sottopongono all’alcoltest. Nessuno in realtà si preoccupa di sapere se ha bevuto. Fondamentale è avere la sua saliva, poter effettuare la comparazione sul Dna. Il reperto viene inviato ai laboratori del Ris. Bastano pochi minuti per ottenere il risultato. E l’esito è clamoroso: «match». Giuseppe Bossetti è «Ignoto 1». I carabinieri avvisano il magistrato, si decide di preparare il provvedimento di fermo. Ieri l’uomo viene prelevato dalla sua abitazione e portato in caserma. Nessuno ha il coraggio di dirlo ufficialmente, ma in realtà per gli investigatori il caso è chiuso.
Le congratulazioni del ministro dell’Interno Angelino Alfano e quelle del presidente del Consiglio Matteo Renzi al comandante generale dei carabinieri Leonardo Gallitelli e al capo della polizia Alessandro Pansa sembrano far intendere che nessuno abbia dubbi sull’esito dell’indagine. In realtà nuove verifiche dovranno essere fatte. Soprattutto bisognerà comprendere che cosa sia davvero accaduto quel 26 novembre di quattro anni fa, che cosa possa essere scattato nella testa dell’uomo per convincerlo a portarsi via una ragazzina, usarle violenza, colpirla alla testa e con un’arma da taglio e poi abbandonarla ancora viva in un campo. Fino a farla morire di stenti.