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 2014  giugno 17 Martedì calendario

«LI HO UCCISI IO, AMO UN’ALTRA»


MOTTA VISCONTI Sono le tre di lunedì notte, Carlo Lissi è da cinque ore in una stanza della caserma dei carabinieri del suo paese. Cerca di resistere, raccontando una storia che fa acqua da tutte le parti. Ma alla fine capisce che è finita, abbandona la testa tra le mani e confessa: «Premetto che voglio che mi sia dato il massimo della pena. Sono stato io a uccidere mia moglie e i miei due figli», è l’inizio del suo verbale. La ragione per cui ha sterminato la sua famiglia lascia sconcertati persino gli investigatori: si è invaghito di una collega d’ufficio, non aveva il coraggio di chiedere il divorzio, una rapina con omicidio lo avrebbe sollevato dall’insopportabile fardello famiglia restituendogli finalmente l’agognata libertà.
LE VENTI COLTELLATE
I Lissi, raccontano i vicini, parevano la famiglia perfetta. Mamma Cristina Omes, 38 anni, la figlia Giulia di cinque e mezzo, a settembre in prima elementare, il piccolo Gabriele di 20 mesi. La loro vita scorreva pacifica tra pedalate in bicicletta, gelati e oratorio. Fino a sabato, quando Carlo decide che la bella villetta rosa, la moglie e i bambini dovevano scomparire per sempre. Sono le undici meno un quarto di sera, Gabriele e Giulia dormono nei loro lettini, la coppia «ha un momento d’intimità sul divano». Quindi lui si alza, con addosso solo le mutande va in cucina e afferra un coltello. Così prosegue il suo verbale: «Sono tornato in salotto e mia moglie era seduta sul divano che guardava la televisione. Da dietro l’ho colpita, credo alla gola. Lei si è subito alzata e ha cercato di scappare verso sinistra, io l’ho raggiunta e l’ho colpita nuovamente all’altezza del collo, se non ricordo male da davanti. Lei a quel punto ha cercato di prendermi il coltello afferrandomi la mano destra ovvero la mano che impugnava l’arma». Cristina tenta disperatamente di difendersi: «Lei in tutta questa azione ha inizialmente detto “no” e poi ha solo continuato a gridarmi “perché? perché?”», racconta Lissi.
LA LOTTA CON LA DONNA
La donna viene massacrata con una ventina di colpi alla schiena e all’addome, tramortita con un pugno e abbandonata tra il divano e l’ingresso dove morirà dissanguata. A quel punto tocca ai figli. «Dopo che lei si è accasciata a terra sono salito su al piano superiore e sono andato in camera di mia figlia Giulia, la porta era aperta ma lei dormiva non aveva sentito nulla. Era a pancia in su. Ricordo solo che le ho dato una coltellata alla gola. Dopo che ho estratto la lama lei si è girata di lato e così è rimasta. Non ha detto nulla. Poi sono entrato in camera da letto dove c’era mio figlio Gabriele. Anche lui dormiva e non si era accorto di nulla. Era a pancia in su e anche a lui ho dato un’unica coltellata alla gola». La motivazione della strage addotta nell’interrogatorio è incredibile: «Questo gesto l’ho fatto poiché non avevo il coraggio di chiedere a mia moglie di separarci, cosa che io invece volevo fare». L’omicidio plurimo è solo la prima parte del folle piano con cui Lissi intende riconquistare la sua indipendenza. Ribalta un po’ di mobiletti, svuota la borsetta della moglie sul tavolo della cucina, apre la cassaforte. Infine si chiude la porta e tutti i suoi guai alle spalle e va a vedere la partita dell’Italia con gli amici. Strada facendo butta il coltello in un tombino.
LA MESSA IN SCENA
Alla maldestra messa in scena i carabinieri non credono neppure per un momento: le scatolette dei gioielli aperte una per una, «un’evidente perdita di tempo per i rapinatori che invece accatastano la refurtiva in sacchi per poi procedere alla cernita» - si legge nel decreto di fermo - i soldi che spuntano dal portafogli della donna e nemmeno toccati, l’assenza di tracce di sangue sulle maniglie delle porte, sugli interruttori delle luci, sui vestiti e sulle pantofole dell’uomo. Nulla collima con la prima versione fornita da Carlo: «Sono rincasato dopo le due, mi sono spogliato e ho appoggiato i vestiti su una sedia della sala. Così facendo, ho scorto le gambe di mia moglie. Ho acceso le luci per capire che cosa fosse successo e ho trovato mia moglie riversa a terra, prona, con il viso reclinato da un lato, in una pozza di sangue che copriva il pavimento tutt’intorno al suo corpo. Ho provato a sollevarla, ma mi ricordo che era pesantissima. Le ho toccato la testa e mi sono imbrattato le mani di sangue. Allora sono corso verso le camere dei miei figli. Ho acceso tutte le luci che incontravo al mio passaggio, quindi il corridoio, la camera di Giulia e la camera da letto. Ho trovato Giulia in una pozza di sangue. Era sdraiata e mi dava le spalle e non ho avuto il coraggio di girarla. Poi ho visto il corpo di Gabriele che era pieno di sangue. Allora sono corso verso la porta d’ingresso e ho aperto la porta uscendo all’esterno così com’ero, quindi in mutande, gridando aiuto. Sono rientrato e sono andato a riprendere i vestiti che avevo lasciato sul tavolo della sala da pranzo e mi sono rivestito». Ciò su cui ora indagano i magistrati è la possibile premeditazione: «Lissi era lucido. Il sospetto è che abbia pianificato la morte della sua famiglia sulla base del calendario dei mondiali di calcio».