Paolo Colonnello, La Stampa 17/6/2014, 17 giugno 2014
Alle 9 e mezzo di sera, la folla davanti alla caserma dei carabinieri di Bergamo si fende e dal cancello esce una pattuglia
Alle 9 e mezzo di sera, la folla davanti alla caserma dei carabinieri di Bergamo si fende e dal cancello esce una pattuglia. Sui sedili dietro, tra due militari, Massimo Bossetti, 43 anni, di Clusone, abbassa la testa tra le mani ammanettate. La gente urla: «Bastardo, assassino!». Lui, un biondino dall’aria dolce e determinata, negli istanti in cui l’auto è costretta a fermarsi per l’ondeggiare di folla e giornalisti, ha un moto di stizza, sembra impallidire. Bossetti è rimasto davanti al pm Letizia Ruggeri non più di un’ora, chiuso in un ostinato silenzio: «Mi avvalgo della facoltà di non rispondere», ha fatto mettere a verbale mentre con un sorriso innocente si proclamava tranquillo: «State prendendo un abbaglio, non sono io quello che cercate». Ma inquirenti e investigatori sono sicuri: l’assassino è lui, arrestato con le accuse di omicidio aggravato, sequestro di persona, violenza sessuale, occultamento di cadavere. A tradirlo è stata una sola goccia di sangue, caduta sui leggins della bambina mentre l’uomo, che lavorava con un coltellino per tagliarle gli slip, si feriva un dito. E ora che le ombre della sera calano su un cielo temporalesco, Massimo il muratore, padre di tre figli, faccia d’angelo, abbassa ancora di più la testa fino a toccare i pantaloni beige. Per prelevargli il Dna, l’altra sera i carabinieri sono ricorsi a un espediente: in quello che sembrava un normale controllo stradale, lo hanno sottoposto al test dell’etilometro. Sembra più giovane della sua età Massimo Bossetti e forse è stato proprio questo il dettaglio che una sera di novembre di tre anni e mezzo fa, gli ha consentito di avvicinare Yara mentre lei, bambina di 13 anni, usciva dalla palestra di Brembate di Sopra dopo un allenamento di ginnastica artistica per tornare a casa. Avvicinarla, rapirla, portarla in un campo gelido a Chignolo d’Isola, appena qualche chilometro di distanza, abusare di lei e, infine, ucciderla. Un mistero che sembra risolto grazie alle comparazioni del Dna, svolte da polizia scientifica e Ris dei carabinieri, che, senza ombra di dubbio scientifico per gli investigatori, hanno portato all’individuazione di quello che finora, nelle carte di un’inchiesta certosina, era conosciuto solo come «Ignoto Uno», cioè l’uomo a cui, seguendo la quasi infinita catena di profili genetici, gli inquirenti erano certi prima o poi di poter arrivare. C’è voluto uno screening di massa unico al mondo. Quasi 18 mila persone convocate per prelevare una goccia di saliva che rivelasse l’identità prima ancora che di “Ignoto Uno”, di sua mamma. La donna che, secondo un testimone, aveva avuto negli Anni 70 un figlio illegittimo da Giuseppe Guerinoni, l’autista di bus a Gorno, morto nel ’99 e padre biologico dell’assassino di Yara. Il miracolo, dopo tanti falsi allarmi, dopo l’arresto spettacolare di un muratore marocchino, Mohamed Fikri, risultato poi del tutto estraneo, è arrivato il 26 aprile scorso, quando un campione salivare prelevato da una donna di 67 anni di Clusone ha rivelato che il Dna era identico a quello di “Ignoto Uno”. A lei i carabinieri erano arrivati sulla base di alcune voci della cittadina bergamasca che le avevano attribuito negli Anni 70 una frequentazione con l’autista Guerinoni e seguendo una traccia anagrafica che fosse compatibile con l’età dell’autista in quell’epoca. Ne sono risultate 3000 donne, che di nuovo sono state suddivise a gruppi di 500. Infine, grazie anche alla testimonianza di un amico di Guerinoni, che spiegò come la misteriosa donna potesse esser proprio di Clusone, è arrivata lei, la madre, custode di un segreto che forse non ha mai rivelato nemmeno ai suoi figli, visto che a nascere da quella relazione clandestina furono in due: Massimo e una sorella gemella. Aveva capito l’anziana donna che stavano cercando suo figlio? Forse sì, visto che è stata sentita dai carabinieri. Così, dalla fine di aprile, gli investigatori hanno avuto in mano due profili genetici: quello del padre e quello della madre del presunto assassino. Bossetti è stato perciò messo sotto osservazione, hanno controllato il suo passato, le sue abitudini, la sua vita. C’era poi un terzo elemento, tenuto finora nascosto ai media, che faceva ben sperare gli inquirenti: il fatto che oltre alle tracce di Dna, sugli indumenti e sul corpo di Yara fossero state trovate tracce di materiale edile, compatibile con la figura di un muratore. Proprio come Bossetti. Alle 9 e mezzo di sera, la folla davanti alla caserma dei carabinieri di Bergamo si fende e dal cancello esce una pattuglia. Sui sedili dietro, tra due militari, Massimo Bossetti, 43 anni, di Clusone, abbassa la testa tra le mani ammanettate. La gente urla: «Bastardo, assassino!». Lui, un biondino dall’aria dolce e determinata, negli istanti in cui l’auto è costretta a fermarsi per l’ondeggiare di folla e giornalisti, ha un moto di stizza, sembra impallidire. Bossetti è rimasto davanti al pm Letizia Ruggeri non più di un’ora, chiuso in un ostinato silenzio: «Mi avvalgo della facoltà di non rispondere», ha fatto mettere a verbale mentre con un sorriso innocente si proclamava tranquillo: «State prendendo un abbaglio, non sono io quello che cercate». Ma inquirenti e investigatori sono sicuri: l’assassino è lui, arrestato con le accuse di omicidio aggravato, sequestro di persona, violenza sessuale, occultamento di cadavere. A tradirlo è stata una sola goccia di sangue, caduta sui leggins della bambina mentre l’uomo, che lavorava con un coltellino per tagliarle gli slip, si feriva un dito. E ora che le ombre della sera calano su un cielo temporalesco, Massimo il muratore, padre di tre figli, faccia d’angelo, abbassa ancora di più la testa fino a toccare i pantaloni beige. Per prelevargli il Dna, l’altra sera i carabinieri sono ricorsi a un espediente: in quello che sembrava un normale controllo stradale, lo hanno sottoposto al test dell’etilometro. Sembra più giovane della sua età Massimo Bossetti e forse è stato proprio questo il dettaglio che una sera di novembre di tre anni e mezzo fa, gli ha consentito di avvicinare Yara mentre lei, bambina di 13 anni, usciva dalla palestra di Brembate di Sopra dopo un allenamento di ginnastica artistica per tornare a casa. Avvicinarla, rapirla, portarla in un campo gelido a Chignolo d’Isola, appena qualche chilometro di distanza, abusare di lei e, infine, ucciderla. Un mistero che sembra risolto grazie alle comparazioni del Dna, svolte da polizia scientifica e Ris dei carabinieri, che, senza ombra di dubbio scientifico per gli investigatori, hanno portato all’individuazione di quello che finora, nelle carte di un’inchiesta certosina, era conosciuto solo come «Ignoto Uno», cioè l’uomo a cui, seguendo la quasi infinita catena di profili genetici, gli inquirenti erano certi prima o poi di poter arrivare. C’è voluto uno screening di massa unico al mondo. Quasi 18 mila persone convocate per prelevare una goccia di saliva che rivelasse l’identità prima ancora che di “Ignoto Uno”, di sua mamma. La donna che, secondo un testimone, aveva avuto negli Anni 70 un figlio illegittimo da Giuseppe Guerinoni, l’autista di bus a Gorno, morto nel ’99 e padre biologico dell’assassino di Yara. Il miracolo, dopo tanti falsi allarmi, dopo l’arresto spettacolare di un muratore marocchino, Mohamed Fikri, risultato poi del tutto estraneo, è arrivato il 26 aprile scorso, quando un campione salivare prelevato da una donna di 67 anni di Clusone ha rivelato che il Dna era identico a quello di “Ignoto Uno”. A lei i carabinieri erano arrivati sulla base di alcune voci della cittadina bergamasca che le avevano attribuito negli Anni 70 una frequentazione con l’autista Guerinoni e seguendo una traccia anagrafica che fosse compatibile con l’età dell’autista in quell’epoca. Ne sono risultate 3000 donne, che di nuovo sono state suddivise a gruppi di 500. Infine, grazie anche alla testimonianza di un amico di Guerinoni, che spiegò come la misteriosa donna potesse esser proprio di Clusone, è arrivata lei, la madre, custode di un segreto che forse non ha mai rivelato nemmeno ai suoi figli, visto che a nascere da quella relazione clandestina furono in due: Massimo e una sorella gemella. Aveva capito l’anziana donna che stavano cercando suo figlio? Forse sì, visto che è stata sentita dai carabinieri. Così, dalla fine di aprile, gli investigatori hanno avuto in mano due profili genetici: quello del padre e quello della madre del presunto assassino. Bossetti è stato perciò messo sotto osservazione, hanno controllato il suo passato, le sue abitudini, la sua vita. C’era poi un terzo elemento, tenuto finora nascosto ai media, che faceva ben sperare gli inquirenti: il fatto che oltre alle tracce di Dna, sugli indumenti e sul corpo di Yara fossero state trovate tracce di materiale edile, compatibile con la figura di un muratore. Proprio come Bossetti. Alle 9 e mezzo di sera, la folla davanti alla caserma dei carabinieri di Bergamo si fende e dal cancello esce una pattuglia. Sui sedili dietro, tra due militari, Massimo Bossetti, 43 anni, di Clusone, abbassa la testa tra le mani ammanettate. La gente urla: «Bastardo, assassino!». Lui, un biondino dall’aria dolce e determinata, negli istanti in cui l’auto è costretta a fermarsi per l’ondeggiare di folla e giornalisti, ha un moto di stizza, sembra impallidire. Bossetti è rimasto davanti al pm Letizia Ruggeri non più di un’ora, chiuso in un ostinato silenzio: «Mi avvalgo della facoltà di non rispondere», ha fatto mettere a verbale mentre con un sorriso innocente si proclamava tranquillo: «State prendendo un abbaglio, non sono io quello che cercate». Ma inquirenti e investigatori sono sicuri: l’assassino è lui, arrestato con le accuse di omicidio aggravato, sequestro di persona, violenza sessuale, occultamento di cadavere. A tradirlo è stata una sola goccia di sangue, caduta sui leggins della bambina mentre l’uomo, che lavorava con un coltellino per tagliarle gli slip, si feriva un dito. E ora che le ombre della sera calano su un cielo temporalesco, Massimo il muratore, padre di tre figli, faccia d’angelo, abbassa ancora di più la testa fino a toccare i pantaloni beige. Per prelevargli il Dna, l’altra sera i carabinieri sono ricorsi a un espediente: in quello che sembrava un normale controllo stradale, lo hanno sottoposto al test dell’etilometro. Sembra più giovane della sua età Massimo Bossetti e forse è stato proprio questo il dettaglio che una sera di novembre di tre anni e mezzo fa, gli ha consentito di avvicinare Yara mentre lei, bambina di 13 anni, usciva dalla palestra di Brembate di Sopra dopo un allenamento di ginnastica artistica per tornare a casa. Avvicinarla, rapirla, portarla in un campo gelido a Chignolo d’Isola, appena qualche chilometro di distanza, abusare di lei e, infine, ucciderla. Un mistero che sembra risolto grazie alle comparazioni del Dna, svolte da polizia scientifica e Ris dei carabinieri, che, senza ombra di dubbio scientifico per gli investigatori, hanno portato all’individuazione di quello che finora, nelle carte di un’inchiesta certosina, era conosciuto solo come «Ignoto Uno», cioè l’uomo a cui, seguendo la quasi infinita catena di profili genetici, gli inquirenti erano certi prima o poi di poter arrivare. C’è voluto uno screening di massa unico al mondo. Quasi 18 mila persone convocate per prelevare una goccia di saliva che rivelasse l’identità prima ancora che di “Ignoto Uno”, di sua mamma. La donna che, secondo un testimone, aveva avuto negli Anni 70 un figlio illegittimo da Giuseppe Guerinoni, l’autista di bus a Gorno, morto nel ’99 e padre biologico dell’assassino di Yara. Il miracolo, dopo tanti falsi allarmi, dopo l’arresto spettacolare di un muratore marocchino, Mohamed Fikri, risultato poi del tutto estraneo, è arrivato il 26 aprile scorso, quando un campione salivare prelevato da una donna di 67 anni di Clusone ha rivelato che il Dna era identico a quello di “Ignoto Uno”. A lei i carabinieri erano arrivati sulla base di alcune voci della cittadina bergamasca che le avevano attribuito negli Anni 70 una frequentazione con l’autista Guerinoni e seguendo una traccia anagrafica che fosse compatibile con l’età dell’autista in quell’epoca. Ne sono risultate 3000 donne, che di nuovo sono state suddivise a gruppi di 500. Infine, grazie anche alla testimonianza di un amico di Guerinoni, che spiegò come la misteriosa donna potesse esser proprio di Clusone, è arrivata lei, la madre, custode di un segreto che forse non ha mai rivelato nemmeno ai suoi figli, visto che a nascere da quella relazione clandestina furono in due: Massimo e una sorella gemella. Aveva capito l’anziana donna che stavano cercando suo figlio? Forse sì, visto che è stata sentita dai carabinieri. Così, dalla fine di aprile, gli investigatori hanno avuto in mano due profili genetici: quello del padre e quello della madre del presunto assassino. Bossetti è stato perciò messo sotto osservazione, hanno controllato il suo passato, le sue abitudini, la sua vita. C’era poi un terzo elemento, tenuto finora nascosto ai media, che faceva ben sperare gli inquirenti: il fatto che oltre alle tracce di Dna, sugli indumenti e sul corpo di Yara fossero state trovate tracce di materiale edile, compatibile con la figura di un muratore. Proprio come Bossetti. Alle 9 e mezzo di sera, la folla davanti alla caserma dei carabinieri di Bergamo si fende e dal cancello esce una pattuglia. Sui sedili dietro, tra due militari, Massimo Bossetti, 43 anni, di Clusone, abbassa la testa tra le mani ammanettate. La gente urla: «Bastardo, assassino!». Lui, un biondino dall’aria dolce e determinata, negli istanti in cui l’auto è costretta a fermarsi per l’ondeggiare di folla e giornalisti, ha un moto di stizza, sembra impallidire. Bossetti è rimasto davanti al pm Letizia Ruggeri non più di un’ora, chiuso in un ostinato silenzio: «Mi avvalgo della facoltà di non rispondere», ha fatto mettere a verbale mentre con un sorriso innocente si proclamava tranquillo: «State prendendo un abbaglio, non sono io quello che cercate». Ma inquirenti e investigatori sono sicuri: l’assassino è lui, arrestato con le accuse di omicidio aggravato, sequestro di persona, violenza sessuale, occultamento di cadavere. A tradirlo è stata una sola goccia di sangue, caduta sui leggins della bambina mentre l’uomo, che lavorava con un coltellino per tagliarle gli slip, si feriva un dito. E ora che le ombre della sera calano su un cielo temporalesco, Massimo il muratore, padre di tre figli, faccia d’angelo, abbassa ancora di più la testa fino a toccare i pantaloni beige. Per prelevargli il Dna, l’altra sera i carabinieri sono ricorsi a un espediente: in quello che sembrava un normale controllo stradale, lo hanno sottoposto al test dell’etilometro. Sembra più giovane della sua età Massimo Bossetti e forse è stato proprio questo il dettaglio che una sera di novembre di tre anni e mezzo fa, gli ha consentito di avvicinare Yara mentre lei, bambina di 13 anni, usciva dalla palestra di Brembate di Sopra dopo un allenamento di ginnastica artistica per tornare a casa. Avvicinarla, rapirla, portarla in un campo gelido a Chignolo d’Isola, appena qualche chilometro di distanza, abusare di lei e, infine, ucciderla. Un mistero che sembra risolto grazie alle comparazioni del Dna, svolte da polizia scientifica e Ris dei carabinieri, che, senza ombra di dubbio scientifico per gli investigatori, hanno portato all’individuazione di quello che finora, nelle carte di un’inchiesta certosina, era conosciuto solo come «Ignoto Uno», cioè l’uomo a cui, seguendo la quasi infinita catena di profili genetici, gli inquirenti erano certi prima o poi di poter arrivare. C’è voluto uno screening di massa unico al mondo. Quasi 18 mila persone convocate per prelevare una goccia di saliva che rivelasse l’identità prima ancora che di “Ignoto Uno”, di sua mamma. La donna che, secondo un testimone, aveva avuto negli Anni 70 un figlio illegittimo da Giuseppe Guerinoni, l’autista di bus a Gorno, morto nel ’99 e padre biologico dell’assassino di Yara. Il miracolo, dopo tanti falsi allarmi, dopo l’arresto spettacolare di un muratore marocchino, Mohamed Fikri, risultato poi del tutto estraneo, è arrivato il 26 aprile scorso, quando un campione salivare prelevato da una donna di 67 anni di Clusone ha rivelato che il Dna era identico a quello di “Ignoto Uno”. A lei i carabinieri erano arrivati sulla base di alcune voci della cittadina bergamasca che le avevano attribuito negli Anni 70 una frequentazione con l’autista Guerinoni e seguendo una traccia anagrafica che fosse compatibile con l’età dell’autista in quell’epoca. Ne sono risultate 3000 donne, che di nuovo sono state suddivise a gruppi di 500. Infine, grazie anche alla testimonianza di un amico di Guerinoni, che spiegò come la misteriosa donna potesse esser proprio di Clusone, è arrivata lei, la madre, custode di un segreto che forse non ha mai rivelato nemmeno ai suoi figli, visto che a nascere da quella relazione clandestina furono in due: Massimo e una sorella gemella. Aveva capito l’anziana donna che stavano cercando suo figlio? Forse sì, visto che è stata sentita dai carabinieri. Così, dalla fine di aprile, gli investigatori hanno avuto in mano due profili genetici: quello del padre e quello della madre del presunto assassino. Bossetti è stato perciò messo sotto osservazione, hanno controllato il suo passato, le sue abitudini, la sua vita. C’era poi un terzo elemento, tenuto finora nascosto ai media, che faceva ben sperare gli inquirenti: il fatto che oltre alle tracce di Dna, sugli indumenti e sul corpo di Yara fossero state trovate tracce di materiale edile, compatibile con la figura di un muratore. Proprio come Bossetti. Alle 9 e mezzo di sera, la folla davanti alla caserma dei carabinieri di Bergamo si fende e dal cancello esce una pattuglia. Sui sedili dietro, tra due militari, Massimo Bossetti, 43 anni, di Clusone, abbassa la testa tra le mani ammanettate. La gente urla: «Bastardo, assassino!». Lui, un biondino dall’aria dolce e determinata, negli istanti in cui l’auto è costretta a fermarsi per l’ondeggiare di folla e giornalisti, ha un moto di stizza, sembra impallidire. Bossetti è rimasto davanti al pm Letizia Ruggeri non più di un’ora, chiuso in un ostinato silenzio: «Mi avvalgo della facoltà di non rispondere», ha fatto mettere a verbale mentre con un sorriso innocente si proclamava tranquillo: «State prendendo un abbaglio, non sono io quello che cercate». Ma inquirenti e investigatori sono sicuri: l’assassino è lui, arrestato con le accuse di omicidio aggravato, sequestro di persona, violenza sessuale, occultamento di cadavere. A tradirlo è stata una sola goccia di sangue, caduta sui leggins della bambina mentre l’uomo, che lavorava con un coltellino per tagliarle gli slip, si feriva un dito. E ora che le ombre della sera calano su un cielo temporalesco, Massimo il muratore, padre di tre figli, faccia d’angelo, abbassa ancora di più la testa fino a toccare i pantaloni beige. Per prelevargli il Dna, l’altra sera i carabinieri sono ricorsi a un espediente: in quello che sembrava un normale controllo stradale, lo hanno sottoposto al test dell’etilometro. Sembra più giovane della sua età Massimo Bossetti e forse è stato proprio questo il dettaglio che una sera di novembre di tre anni e mezzo fa, gli ha consentito di avvicinare Yara mentre lei, bambina di 13 anni, usciva dalla palestra di Brembate di Sopra dopo un allenamento di ginnastica artistica per tornare a casa. Avvicinarla, rapirla, portarla in un campo gelido a Chignolo d’Isola, appena qualche chilometro di distanza, abusare di lei e, infine, ucciderla. Un mistero che sembra risolto grazie alle comparazioni del Dna, svolte da polizia scientifica e Ris dei carabinieri, che, senza ombra di dubbio scientifico per gli investigatori, hanno portato all’individuazione di quello che finora, nelle carte di un’inchiesta certosina, era conosciuto solo come «Ignoto Uno», cioè l’uomo a cui, seguendo la quasi infinita catena di profili genetici, gli inquirenti erano certi prima o poi di poter arrivare. C’è voluto uno screening di massa unico al mondo. Quasi 18 mila persone convocate per prelevare una goccia di saliva che rivelasse l’identità prima ancora che di “Ignoto Uno”, di sua mamma. La donna che, secondo un testimone, aveva avuto negli Anni 70 un figlio illegittimo da Giuseppe Guerinoni, l’autista di bus a Gorno, morto nel ’99 e padre biologico dell’assassino di Yara. Il miracolo, dopo tanti falsi allarmi, dopo l’arresto spettacolare di un muratore marocchino, Mohamed Fikri, risultato poi del tutto estraneo, è arrivato il 26 aprile scorso, quando un campione salivare prelevato da una donna di 67 anni di Clusone ha rivelato che il Dna era identico a quello di “Ignoto Uno”. A lei i carabinieri erano arrivati sulla base di alcune voci della cittadina bergamasca che le avevano attribuito negli Anni 70 una frequentazione con l’autista Guerinoni e seguendo una traccia anagrafica che fosse compatibile con l’età dell’autista in quell’epoca. Ne sono risultate 3000 donne, che di nuovo sono state suddivise a gruppi di 500. Infine, grazie anche alla testimonianza di un amico di Guerinoni, che spiegò come la misteriosa donna potesse esser proprio di Clusone, è arrivata lei, la madre, custode di un segreto che forse non ha mai rivelato nemmeno ai suoi figli, visto che a nascere da quella relazione clandestina furono in due: Massimo e una sorella gemella. Aveva capito l’anziana donna che stavano cercando suo figlio? Forse sì, visto che è stata sentita dai carabinieri. Così, dalla fine di aprile, gli investigatori hanno avuto in mano due profili genetici: quello del padre e quello della madre del presunto assassino. Bossetti è stato perciò messo sotto osservazione, hanno controllato il suo passato, le sue abitudini, la sua vita. C’era poi un terzo elemento, tenuto finora nascosto ai media, che faceva ben sperare gli inquirenti: il fatto che oltre alle tracce di Dna, sugli indumenti e sul corpo di Yara fossero state trovate tracce di materiale edile, compatibile con la figura di un muratore. Proprio come Bossetti. pag. 3 di 3