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 2014  giugno 16 Lunedì calendario

BASTIOLI, LA SCIENZIATA DIVENTATA MANAGER FA SCOCCARE LA SCINTILLA TRA ENERGIA E CHIMICA


Roma
Pneumatici di girasole, che rotolano leggeri facendo risparmiare benzina. Piatti e forchette di mais, che dopo l’uso si trasformano in fertilizzante per il terrazzo. Giocattoli in plastica nata nei campi, senza gli additivi che disorientano i nostri ormoni. Erbicidi naturali estratti dalle piante. Sono immagini pacificanti, ma con effetto elettrizzante per il portafoglio: il settore della bioeconomia vale in Europa 2.000 miliardi di euro e dà lavoro a oltre 22 milioni di persone; secondo le stime della Commissione, per ogni euro investito in ricerca e innovazione si possono ottenere 10 euro di fatturato entro il 2025. Ora, con il battesimo della bioraffineria di Matrica che inaugura oggi a Porto Torres i primi due impianti, la chimica verde italiana dimostra di saper passare dalla teoria alla pratica, guadagnando mercato mentre la crisi fa arretrare tanti settori della old economy. A snocciolare numeri e prospettive è Catia Bastioli, amministratore delegato di Novamont e neo presidente di Terna, una scienziata che si è inventata manager per necessità. Quando lo scandalo Enimont ha spazzato via l’impero di Raul Gardini, lei ha alzato gli occhi dalle formule chimiche, si è rimboccata le maniche e dall’ammiraglia che affondava, il centro ricerche della Montedison, ha estratto una scialuppa, la Novamont, che ha saputo tenere ferma la rotta durante i momenti di navigazione più difficile grazie alla convinzione di avere un obiettivo da centrare e le carte in regole per competere a livello globale.
Partendo da zero, Novamont ha trovato i finanziamenti necessari a decollare: nei primi 10 anni è arrivata a 40 milioni di euro di fatturato con una crescita di oltre il 20 per cento annuo e una rilevante quota di export. Poi, grazie alla normativa sugli shopper, è cresciuta ancora. « Oggi siamo a 150 milioni di fatturato, con la prospettiva di triplicarlo entro il 2016 grazie anche al contributo della bioraffineria di Matrica che permetterà di ampliare la gamma dei biochemicals», promette questa ricercatrice sempre vestita di scuro, più a suo agio nel collezionare brevetti, un centinaio, e premi, da quello di Inventore europeo dell’anno al Belisario, che nel muoversi sotto la luce dei riflettori. «Il futuro è qui: nel collegamento tra agricoltura e industria. L’integrazione tra i due settori è strategica, come aveva intuito Raul Gardini, perché risponde a molti bisogni. Il primo è trovare materia prima a costi contenuti in una fase in cui i prezzi hanno iniziato, per la crescita della domanda globale, una salita che sembra destinata a stabilizzarli su valori alti. E questa è una sfida importante per il mondo, visto che l’impatto ambientale delle attività estrattive cresce continuamente. Doppiamente importante per l’Europa, che ha scommesso sulla bioeconomia. E ancora più importante per l’Italia, che ha poche materie prime ma buona capacità di ricerca». Il secondo elemento strategico – continua l’amministratore delegato di Novamont – è legato ai riflessi economici della crisi climatica. Secondo l’Epa, l’agenzia ambientale degli Stati Uniti, da oggi al 2050 potrà essere consumato al massimo un terzo delle riserve accertate di combustibili fossili se vogliamo evitare che l’aumento della temperatura superi i 2 gradi, con effetti catastrofici. Con il crescere della pressione degli uragani, delle alluvioni e della siccità gli incentivi ai combustibili fossili sono dunque destinati a diminuire e il prezzo a salire: si crea lo spazio di mercato per prodotti alternativi ricavati dai campi. «Si parla spesso di biocombu-stibili, ma è una prospettiva troppo ridotta: dimentica l’altra faccia dell’industria, la materia », aggiunge Catia Bastioli. «Noi già oggi usiamo materiali biologici cresciuti con l’energia del sole per produrre basi per lubrificanti, pneumatici, shopper, giocattoli, cialde per il caffè, prodotti cosmetici e per l’igiene personale, composti chimici con applicazioni che vanno dal tessile alle auto. Tutto usando scarti o coltivazioni con scarso impatto dal punto di vista dell’uso di acqua e fitofarmaci. E dando risposta a quella che oggi è la domanda essenziale: il lavoro». L’occupazione rappresenta il terzo elemento di forza della strategia basata sulla chimica verde. Ogni 1.000 tonnellate di bioplastiche si possono creare 60 posti di lavoro: la piena attuazione della normativa potrebbe contribuire a una crescita occupazionale del comparto di più 6.000 persone. E se la direttiva europea oggi in discussione verrà approvata, alla lista degli oggetti da riconvertire si aggiungeranno anche i sacchetti leggeri per avvolgere frutta e verdura: altre migliaia di posti di lavoro nel circuito che va dalla creazione della materia da utilizzare alla sua trasformazione. «Attenzione però: raggiungere questi obiettivi non è scontato », avverte Catia Bastioli. «Mentre l’Italia ha vinto a Bruxelles la sua battaglia sugli shopper compostabili diventando la base del modello europeo, a casa nostra non facciamo i compiti. Le sanzioni contro i furbetti che spacciano sacchetti fuori legge non sono ancora scattate: siamo invasi da shopper che non rispettano gli standard obbligatori e intasano la raccolta differenziata dell’umido perché non si degradano. Tollerare questa situazione significa mettere a rischio il ruolo italiano e rallentare il rilancio occupazionale». Ma anche se l’Italia rischia di perdere una parte del vantaggio accumulato a livello globale, il settore è ormai pronto al decollo e la concorrenza internazionale si fa sempre più agguerrita. Nel mercato che si profila ci sarà ancora spazio per tre gruppi (Versalis, Mossi & Ghisolfi, Novamont) o nascerà un conflitto per la leadership? «La collaborazione è già attiva e credo che continuerà », replica l’ad di Novamont. L’Italia ha saputo fare squadra creando know how e prodotti ad alto valore aggiunto: in questo modo riusciamo a competere anche con paesi, come il Brasile, in cui le superfici a disposizione per ricavare la materia prima sono ben maggiori». Se la chimica verde si compatta attorno alla prospettiva di trasformare i costi di smaltimento degli scarti in un utile, Catia Bastioli si divide: da una parte la visionaria che ha saputo intuire in anticipo il futuro della chimica, dall’altra la nuova presidente di Terna. Un conflitto potenziale? «Assolutamente no», risponde la fondatrice della Novamont. «La chimica verde ha bisogno di energia pulita. Ma non si può pensare all’energia solo come alla ricerca di una fonte a minor costo e a minor impatto ambientale. Quello che conta è il servizio: produzione, trasporto, utilizzo. E all’interno di questo pacchetto c’è la mission di Terna che è rendere sempre più efficienti e funzionali le reti. Ormai la smart grid è un termine che sta diventando di uso comune: bisogna inserire intelligenza nel sistema. Cioè da una parte renderlo più efficiente e dall’altra più ricco di possibilità: aumentare le funzioni, inventare connessioni. Anche in questo campo, come nella chimica, vince chi è più capace di innovare. In fondo faccio lo stesso mestiere in due luoghi diversi». In realtà il petrolio, risorsa che progressivamente diventerà sempre più difficile usare, sarà probabilmente conteso tra i due usi, materia prima ed energia, ma Catia Bastioli per ora vede l’alleanza tra le due funzioni in nome della ricerca. Anche perché lo scenario sardo, in cui Novamont misura l’alleanza con Versalis sul fronte della riconversione produttiva, è anche quello in cui viene sperimentato un salto di connessione di rete. «Entro il prossimo anno si completerà l’entrata in funzione dei due cavi che collegano la Sardegna alla penisola e alla Corsica. L’isola, che dispone già di molta energia pulita da sole e vento, potrà così integrare al meglio le sue potenzialità abbassando i costi dell’energia per le imprese e aumentando la sua competitività ». Nel disegno, Catia Bastioli ad di Novamont e presidente di Terna vista da Dariush Radpour.

Antonio Cianciullo, Affari&Finanza – la Repubblica 16/6/2014