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 2014  giugno 16 Lunedì calendario

MANNING: “QUANTE BUGIE SUI SUCCESSI USA A BAGDAD”


Pubblichiamo uno stralcio dell’articolo comparso ieri sul “ New York Times” a firma della talpa di WikiLeaks, Bradley Manning, che ha cambiato nome in Chelsea dopo avere iniziato un processo per mutare sesso. Il titolo originale è “ The Fog Machine of War”, la macchina della nebbia per la guerra. Chelsea scrive dalla cella di Fort Leavenworth, in Kentucky, dove sconta 3-5 anni di carcere per aver diffuso 7-50mila pagine di documenti riservati al sito di Julian Assange.
Quando nel 2010 ho deciso di divulgare informazioni segrete, l’ho fatto per amore verso il mio Paese e per un senso di dovere nei confronti degli altri. Adesso, per quelle rivelazioni non autorizzate, sto scontando una condanna a 35 anni di prigione, ma le preoccupazioni che mi avevano motivato non sono state risolte.
Mentre in Iraq deflagra una guerra civile e l’America prende ancora una volta in considerazione un intervento militare, quella situazione irrisolta e incompiuta dovrebbe dare nuovo impulso all’urgenza di capire come l’esercito americano abbia controllato la copertura mediatica del suo coinvolgimento in Iraq e in Afghanistan. Credo che i limiti imposti alla libertà di stampa rendano impossibile per gli americani comprendere che cosa sta accadendo nelle guerre che finanziamo.
Se avete seguito i notiziari durante le elezioni del marzo 2010 in Iraq, ricorderete che dichiaravano quelle consultazioni un successo completo, lasciando intendere che l’intervento militare aveva consentito di dar vita a un Iraq stabile e democratico.
Quanti di noi si trovavano dislocati in Iraq erano consapevoli di una realtà estremamente più complessa. I rapporti militari e diplomatici che passavano dalla mia scrivania parlavano nei dettagli di brutali repressioni contro i dissidenti politici attuate dal ministero iracheno degli Interni e dalla polizia federale per conto del premier Al Maliki. I prigionieri spesso erano torturati o perfino uccisi.
All’inizio di quell’anno, ricevetti l’ordine di svolgere indagini su 15 soggetti che la polizia aveva arrestato perché sospettati di “stampare materiale anti-iracheno”. Venni a sapere che quegli uomini non avevano collegamento alcuno con il terrorismo: stavano soltanto criticando l’amministrazione di Al Maliki. Comunicai quanto appurato al funzionario in comando a Bagdad Est, mi rispose che quell’informazione non gli serviva e che avrei fatto meglio ad aiutare la polizia federale a individuare altre «tipografie di materiale anti-iracheno». Rimasi sconcertato dal comportamento delle nostre forze armate, complici nella corruzione di quell’elezione. Ciò nonostante, questi dettagli passarono inosservati dai media americani. I giornalisti, invece, dovrebbero avere un accesso tempestivo alle informazioni.
(© 2-014 New York Times News Service. Traduzione di Anna Bissanti)

Chelsea Manning, la Repubblica 16/6/2014