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 2014  giugno 16 Lunedì calendario

IL GIORNALE DI GRAMSCI ORA SPERA IN RENZI “MA NIENTE BRAND NON È UNA MOZZARELLA”


ROMA .
Caro segretario ti scrivo. Sulla prima pagina dell’ Unità di ieri, i giornalisti si rivolgono direttamente a Matteo Renzi che, durante l’assemblea Pd di sabato, aveva riconosciuto «la sofferenza del giornale». Ventata di cauta speranza: il Rottamatore si è accorto di noi ma non per rottamarci, anzi: «Abbiamo ascoltato con grande attenzione le tue parole e ti ringraziamo... Le assumiamo come un impegno a lavorare, in tempi rapidi, al rilancio». Se Renzi ammette che «il brand Unità» funziona, tanto da ripristinare le Feste di partito con il loro vero nome, allora avanti tutta con il «brand», la scialuppa cui aggrapparsi per non morire. Solo una dovuta precisazione al segretario: «L’Unità è una storia novantennale, è una comunità - giornalisti e lettori - orgogliosa di sé. Molto più di un “brand”...». Si gioca sul filo dei comunicati, si interpreta ogni segnale.
Il giornale fondato da Gramsci è in crisi da tempo (20.200 copie vendute a maggio), i 57 giornalisti hanno appena terminato due anni di solidarietà, preso l’ultimo stipendio in aprile (non si parla di rimborsi o straordinari), non firmano per protesta da oltre un mese, soprattutto non conoscono il loro destino. L’unica cosa certa è la messa in liquidazione della società editrice ratificata dall’assemblea dei soci di giovedì 12. Decisione comunicata non molto elegantemente, a brutto muso. Matteo Fago, detentore del 51% della Nuova Iniziativa Editoriale Spa (gli altri soci sono Soru, Maurizio Mian, dei fondi Gunther e, in piccolissima parte, il Pd), ha detto basta: «Mi sono ritrovato a sobbarcarmi da solo responsabilità non più sostenibili e gli altri soci si sono progressivamente defilati».
Una botta, sia pur nell’aria. E non è sufficiente a rassicurare quell’accenno di Fago alla possibilità di un futuro rinascimento legato «ad un serio progetto editoriale accompagnato da un preciso piano industriale e finanziario». Chi mette i soldi? Sabato, la sorpresa Renzi: «Dobbiamo tutelare un brand, abbiamo bisogno di ripartire...». Certo, il presidente del Consiglio dice anche che l’Unità e Europa, giornale della defunta Margherita, dovranno fondersi, che «non possiamo più permetterci due giornali diversi, due storie diverse». Ma questo è uno scenario più in là, per il momento semirimosso, l’importante, per la redazione, è che qualcosa si muova, che il numero uno del Pd si accorga della «nostra sofferenza». Francesco Bonifazi, tesoriere del partito, assicura: «Stiamo lavorando perché l’Unità non scompaia, perché rimanga vivo un pezzo di storia della sinistra. Lo faremo in un’ottica di vero risanamento e con un approccio molto professionale, senza ripetere gli errori di un tempo». Niente finanziamenti tampone, aumenti di capitale per tirare avanti. Bisogna sfruttare «il marchio» e incassare.
«Se il “brand” è il nostro cuore che batte è ok, ma l’Unità non è solo un nome, non è una mozzarella», dice Luca Landò, direttore della testata, anche lui senza stipendio. In redazione l’atmosfera è tuttavia un po’ più leggera. Circola scodinzolando Pulci, il cane adottato dal giornale. Landò mostra cosa produce il «brand». L’inserto sulle 90 prime pagine dalla fondazione ha fatto vendere 120 mila copie ed è andato esaurito in due ore. «C’è una potenzialità da valorizzare», conferma Bonifazi. Il direttore ne ha parlato con Renzi? «Mai parlato con lui. I nostri rapporti sono molto british. Binari separati ». Non più quotidiano di partito, ma solo di «riferimento» ad un’area.
Bianca Di Giovanni, del Cdr, ammette che «il segnale politico» c’è stato: «Incassiamo l’attenzione di Renzi ma ovviamente aspettiamo di sapere che cosa si vuol fare del giornale, vogliamo garanzie sull’organico, sulle condizioni economiche». E il matrimonio con Europa? Sinergia, tu fai carta stampata, io web, fusione... I due direttori interessati, Landò e Stefano Menichini, mettono il freno a mano, ma nessuno alza barricate preventive. Intanto, ed è un primo risultato, questa faccenda è uscita dall’oblio. Forse grazie al «brand». «La parola non mi piace - dice Moni Ovadia collaboratore a gratis dell’ Unità quel “buco vuoto”, come Musil chiamava l’anima, è pur sempre un richiamo, produce sentimenti, emozioni, tiene viva la memoria. Se l’Unità ha una chance è dentro la sua storia, sarà grazie alla sua vera anima».

Alessandra Longo, la Repubblica 16/6/2014