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 2014  giugno 15 Domenica calendario

LO STATO CANAGLIA E IL GRANDE SATANA LA STRANA ALLEANZA CONTRO I JIHADISTI


WASHINGTON
Benvenuti al grande ballo dei diavoli e delle canaglie. L’antica e immutabile verità secondo la quale il nemico del mio nemico è mio amico ha spinto ayatollah, generali e ministri iraniani a ipotizzare un intervento in Iraq per fare quello che Obama vorrebbe — ma non può più — fare: mandare mezzi, armi, consiglieri e uomini per fermare l’avanzata della nuova Al Qaeda verso la capitale.
«Un’azione coordinata fra Washington e Teheran non è ipotizzabile — ha dovuto spiegare il Dipartimento di Stato — però la minaccia terroristica in Iraq è percepita come una minaccia grave dalle due nazioni».
Però, ecco la chiave. È un tango senza toccarsi questo che il “Grande Satana” degli anatemi khomeinisti e lo “Stato Canaglia” della retorica bushista stanno danzando, ora che la catastrofe dell’operazione Iraqi Freedom ha lasciato le rovine materiale e il disastro politico che la folle invasione del 2003 ha prevedibilmente creato. Una grande nazione controllata dall’ala più fanatica e integralista dei sunniti irakeni, ormai un’organizzazione indipendente e meglio armata di Al Qaeda, sarebbe il sigillo finale e ignobile della guerra americana in Mesopotamia e una minaccia intollerabile per gli ayatollah iraniani che si erano illusi di avere in mano la nazione attraverso il loro detestabile Quisling iracheno, lo sciita al Maliki.
Trentatré anni di odio ideologico e religioso, esploso con la presa dell’ambasciata Usa a Teheran e la prigionia di 66 diplomatici americani per 444 giorni nel 1981, impallidiscono di fronte alla prospettiva sempre più concreta che tutti gli orrori, le follie, l’incompetenza e le stragi della guerra producano il risultato esattamente opposto a quello che Bush, Cheney, Rumsfled e la loro banda di fondamentalisti in giacca e cravatta conosciuti come “neo-con” si ripromettevano. Non l’illusoria, artificiale democrazia esportata con gli stivali, ma un formidabile stato gonfio di petrolio nelle mani degli eredi ideali e trionfanti di Osama bin Laden.
E se la prospettiva di questa “empia alleanza” Usa-Iran sconvolge gli ultimi falchi come il senatore McCain, quello che nel 2008 canticchiava ridendo «Bomb bomb bomb, bomb Iran» sulle note dei Beach Boys e che turba gli israeliani, timorosi che nello strano tango si dimentichino i progetti nucleari di Teheran, la dinamica degli interessi e delle paure converge. Eppure non sarebbe né inedita, né storicamente scandalosa. Già nella fin troppo facile passeggiata militare dai monti del Nord a Kabul per la cacciata dei Taliban in poche settimane, fu indispensabile la tacita approvazione e la collaborazione sotto traccia degli iraniani, nell’accoglienza del profughi e nella loro influenza sulla maggioranza etnica dei Pashtun.
Stabilire ora se l’Iraq sia stato perso da Obama con il ritiro delle truppe o da Bush con l’ingresso delle truppe è esercizio di rancori ideologici fra correnti americane, fra gli irriducibili delle “Bush Follies” e sostenitori di quel nuovo corso obamiano che ha prodotto un Nobel per la Pace, ma non la Pace. Il fatto che conta è lo spaventoso viluppo di contraddizioni e di interessi, ora convergenti, ora contrastanti, che si è formato attorno alla deposizione forzata dell’agonizzante regime di Saddam L’Iran del nuovo presidente Hassan Rouhani, il cosiddetto “moderato” che ha segnalato nuove disponibilità al negoziati nucleare, è quello che potrebbe salvare i carissimi nemici e vicini iracheni dall’abisso di uno stato terrorista, salvando i resti delle follie bushiste, ma è anche quello che puntella il regime del siriano Assad e tiene in vita l’organizzazione di Hezbollah. Sarebbe dunque il peggior amico possibile per un’amministrazione americana che semplicemente non ha alcuna altra opzione in Iraq e non può neppure ipotizzare, come infatti Obama ha escluso, il ritorno dei propri soldati.
Non sarebbe certamente la prima volta nella storia che nazioni e governi in odio reciproco accantonino nel nome della necessità le proprie inconciliabili differenze, come nell’alleanza fra Usa e Urss nella guerra contro la Germania nazista. Il rischio del neonazismo in chiave mistica al potere a Bagdad rende concepibile ciò che la guerra e la politica producono invece regolarmente, quegli strange bedfellow , quegli improbabili compagni di letto, uniti quanto basta per fermare il nemico comunque, per tornare poi all’ostilità precedente.
Oggi, la allucinata presunzione e l’arroganza degli interessi occidentali che partorirono l’invasione del 2003 stanno costringendo nello stesso scomodo pagliericcio Usa e Iran, mentre in Iraq si riproduce con prevedibile, scontato squallore un altro dei classici scenari vietnamiti: un esercito regolare e immaginario, addestrato, pagato, armato dagli americani che si sta squagliando come panna montata e getta le armi davanti a un nemico molto meno potente, ma incomparabilmente più motivato. È anche per esorcizzare lo spettro di una nuova Saigon in Mesopotamia quarant’anni dopo, che le canaglie sembrano meno canaglie e i diavoli meno diabolici.

Vittorio Zucconi, la Repubblica 15/6/2014