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 2014  giugno 15 Domenica calendario

IL MAGISTRATO CHE GIUDICA IL CALCIO: “PIÙ RISCHI CON I TIFOSI CHE CON LE BR”

[Intervista a Giampaolo Tosel] –

Alle sei di sera, il giudice più odiato d’Italia prepara la cena per la piccola Clò, un esemplare di bovaro del bernese di nove mesi e cinquanta chili. Insaporisce le crocchette con piccoli pezzi di formaggio, si assicura che il pasto sia gradito. Solo a quel punto, accesa la prima di undici sigarette («sono un tabagista astemio»), davanti a un decaffeinato servito nel giardino di una bella casa nel centro storico, inizia a raccontare: «Avrei dovuto capire tutto nel 1985, quando svolgevo la funzione di Pg nel processo alla colonna veneta delle Brigate Rosse. Erano in ballo decenni di carcere, la tensione si tagliava con il coltello. Mi chiamò il responsabile della sicurezza, perché erano pervenute notizie preoccupanti sulla mia persona. Chiesi ragioni: “Alcuni ragazzi vogliono fargliela pagare per la retrocessione del Bassano”. Da poco ero nell’Ufficio inchieste della Federcalcio. Avevo deferito la squadra per illecito sportivo. Quel giorno mi resi conto dell’ambiente in cui avrei lavorato...».
Giampaolo Tosel è il magistrato che decide le squalifiche del campionato di calcio italiano. Ha indossato la toga per la prima volta giovanissimo, a 24 anni. Si è occupato di terrorismo, assassini seriali, sequestri di persona e tangenti: «Ma ben pochi processi penali hanno lo stesso effetto mediatico del comunicato del giudice sportivo - dice - l’Italia è il Paese in cui oltre il 50 per cento dei cittadini si dichiara interessato al calcio. Nulla appassiona e divide in uguale misura». Un sorriso ironico scompare dietro una nuvola di fumo. Da procuratore capo di Udine è andato in pensione nel 2000. Oggi Tosel ha 73 anni. Chiude curve, sanziona cori razzisti, punisce gesti violenti. Ecco perché il web è inondato di siti poco commendevoli. «Odio Tosel». «Venduto». «Schifoso uomo di m...». «A morte!».
Giudice Tosel, la fa soffrire tutto questo rancore internettiano?
«Nella maniera più assoluta, no. Il sito “Odio Tosel” era comparso qualche anno fa, quando avevo fatto chiudere le curve dello stadio San Paolo di Napoli. Mi è stato chiesto se volessi oscurarlo, ma ho detto no. Credo che in qualche modo, appartenga al calore e al colore calcistico. Diciamo così...».
Per lei cos’è il calcio?
«Un meraviglioso spettacolo sportivo e un fenomeno sociale. Le malelingue sostengono che sia anche un utile strumento per distogliere l’attenzione dei cittadini dai veri problemi...».
Tifa?
«Mi attribuiscono squadre diverse, in base ai provvedimenti che prendo. Ma io sono un estimatore, non un tifoso. Un estimatore del vecchio calcio, meno atletico e più divertente. Il calcio antico».
Abbia coraggio: avrà una squadra del cuore…
«Quella che gioca in questi giorni, con la casacca azzurra».
Un calciatore?
«Omar Sivori. Scorrettissimo. Prendeva per i fondelli l’avversario, ma era un giocoliere. Lui e Garrincha».
Che stagione è stata quella 2013-2014?
«Particolare. Difficile. Il calcio è la vetrina del Paese. Tutte le tensioni si riverberano allo stadio. È stata introdotta la discriminazione territoriale come sanzione, quella norma che punisce, fra l’altro, i cori contro Napoli e i napoletani. Non ho mai visto tante curve chiuse. E non c’è nulla di più deprimente di una partita di calcio giocata in uno stadio mezzo vuoto».
Certi giornali l’hanno presa in giro per una multa da 5 mila euro comminata ai bambini juventini che hanno gridato la parola “merda” allo stadio.
«Quando mi riferiscono un fatto e c’è un certo articolo del codice, io devo procedere. Il mio è un lavoro quasi notarile. Ma è stata sanzionata la società, non i bambini».
Ed eccoci alla responsabilità oggettiva. È giusto punire la squadra per i comportamenti dei suoi tifosi?
«Credo che tecnologie migliori dentro agli stadi, cioè telecamere moderne, potrebbero aiutare nell’individuazione dei responsabili. Se chi lancia un razzo ha nome e cognome, non ha più ragione d’essere la responsabilità oggettiva della società».
Cosa pensa del finale di stagione? Quello di “Genny ’a carogna” e degli scontri per la finale di Coppa Italia...
«Una serata orribile, che ha fatto il giro del mondo. Ma mentre a voi interessava di più il lato, per così dire, folcloristico, a me hanno colpito i 4 poliziotti finiti all’ospedale. Purtroppo stiamo facendo di tutto per tenere i bambini lontani dagli stadi...».
La maglietta “Speziale Libero” esibita in curva?
«Mi auguro di continuare a vivere in uno Stato in cui la critica, per quanto becera, sia libera. Auguriamocelo tutti: criticare è un diritto sacro e inviolabile».
Dove prende le sue decisioni?
«A Milano in ufficio, oppure qui a casa. Sto attaccato al fax e al pc, ricevo i referti arbitrali e i rapporti della procura federale. Lavoro solo sulla carta».
L’espressione più refertata?
«Arbitro, che c... fischi!».
Perché il calcio italiano è così indietro?
«Servono impianti nuovi, polifunzionali e sicuri».
È ottimista?
«Lo sono sempre stato. Ho visto uscire questo Paese da situazioni ben peggiori».
Ha mai ricevuto chiamate imbarazzanti?
«Mai».
Come sopporta le pressioni al bar, per strada e quelle dei familiari?
«Ignorandole. E poi, come potrei ascoltare i consigli di una figlia juventina, di un figlio interista e di un terzogenito che non si interessa di calcio? A proposito, lui, il terzo, è di gran lunga il più saggio e posato della famiglia...».

Niccolò Zancan, la Stampa 15/6/2014