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 2014  giugno 15 Domenica calendario

GLI EQUILIBRI FRA LE POTENZE DIPENDONO DAL PETROLIO IRACHENO


A 106 dollari il barile il prezzo del petrolio è lontano dai picchi cui potrebbe portarlo una crisi seria in Iraq. La tendenza al rialzo dell’ultima settimana, però, è una linea che salendo potrebbe benissimo anche illustrare le preoccupazioni del blocco occidentale per quanto accade a Baghdad: anzi si può dire che quella del prezzo cresce meno di quella della tensione. Il Paese, secondo produttore del cartello Opec a livello mondiale, oggi è capace di garantire 3,3 milioni di barili al giorno. Nel 2015 la produzione potrebbe salire a quattro milioni e mezzo, nel 2020 anche a sei. C’è una questione di quantità ragguardevoli, insomma, e c’è anche una questione di qualità delle conseguenze diplomatiche e strategiche che una produzione di questo cabotaggio comporta.
Un terzo dell’oro nero estratto in Iraq, tanto per cominciare, è destinato ai mercati cinese e indiano. Due economie energivore che si espandono a grande velocità non possono permettersi incertezze sulle forniture: senza arrivare al dramma che rappresenterebbe un’interruzione, il solo dubbio sulla continuità e sull’affidabilità dell’Iraq porterebbe inevitabilmente cinesi e indiani a bussare a Teheran. Un cambio di equilibrio avrebbe ripercussioni immediate sui rapporti diplomatici e sui negoziati tra Iran e Stati Uniti. Lo stesso dubbio rafforzerebbe altrettanto rapidamente tutti gli altri Paesi che producono il petrolio. Succederebbe alla Russia, dove cambierebbe immediatamente di tono la discussione sull’Ucraina, e al Venezuela per fare altri due esempi.
C’è poi un fronte interno altrettanto complicato. Il petrolio è la principale fonte di sostentamento del governo iracheno e garantisce quasi tutta l’energia al Paese, così è inevitabile che chiunque abbia in mente di destabilizzare il Paese punti per prima cosa sugli impianti petroliferi. Così, se è vero che nel Sud del Paese la zona di Bassora - vale da sola il 90% della produzione nazionale - è saldamente in mano agli sciiti sostenitori del governo e nemici giurati delle milizie sunnite in marcia nel nord, non si deve dimenticare che i gruppi antigovernativi hanno già interrotto un oleodotto e questa settimana hanno circondato la raffineria di Baiji, nell’Iraq centrale. Quella raffineria alimenta una centrale elettrica vitale per Baghdad: al momento i miliziani ne permettono il funzionamento, ma non è detto che non cambino idea. Nel gioco potrebbero infine entrare i curdi, vicini al controllo militare di un altro giacimento di importanza fondamentale, quello di Kirkuk. Infine, l’economia del petrolio non è fatta solo di esportazione. L’Iraq vive anche dell’industria estrattiva e degli investimenti che Exxon, BP, Royal Dutch Shell, Occidental Petroleum, Chevron e anche l’italiana Eni fanno sul campo per garantire il funzionamento degli impianti.
Gli analisti concordano sul fatto che al momento non sono in arrivo grandi fiammate sui prezzi internazionali. L’Agenzia internazionale per l’energia ha appena pubblicato le stime sulla domanda di petrolio per il 2014 chiarendo che, a suo giudizio, «i recenti eventi in Iraq non determinano maggiori rischi sulla produzione di petrolio iracheno nel breve termine, a condizione che il conflitto non si diffonda». Ciò che preoccupa gli osservatori è la seconda parte della frase: «a condizione che...».

Marco Sodano, la Stampa 15/6/2014