Sandro Cappelletto, la Stampa 15/6/2014, 15 giugno 2014
ORSONI: “POTREI RIPENSARCI E CANDIDARMI MA SENZA I PARTITI”
[Intervista] –
«Era la terza volta che mi chiedevano di fare il sindaco. Nel 1994 e nel 2000 ho detto di no, nel 2010 ho accettato. L’indicazione per la mia candidatura veniva da Massimo Cacciari, per il quale ho avuto sempre grande stima, e non mi sono sottratto. Attorno al mio nome si era creato un consenso molto vasto. Ora so che sono stato usato dalla politica». Nello studio della sua abitazione privata, affacciata sul Canal Grande, Giorgio Orsoni, 68 anni, avvocato, ordinario di diritto amministrativo all’Università di Ca’ Foscari, primo Procuratore di San Marco, sindaco di Venezia dal 10 aprile 2010 fino a venerdì 13 giugno 2014, quando si è dimesso dopo aver «patteggiato» la pena, accoglie l’invito a raccontare i quattro anni di questa esperienza e la loro aspra conclusione. Sotto casa, con discrezione, vigila un motoscafo della Polizia Locale.
«Attenzione», precisa subito l’avvocato. «Con i magistrati la mia posizione è chiarita; ho patteggiato e il patteggiamento non significa riconoscimento di responsabilità. Significa chiudere la vicenda processuale in tempo rapido: dal punto di vista giuridico è una conciliazione. Forse il Presidente del Consiglio, che ha studiato giurisprudenza, lo ha dimenticato».
Come ha trascorso la settimana agli arresti domiciliari?
«Ascoltando musica di Beethoven, Schumann e Brahms e leggendo un libro sulle migrazioni a Venezia tra 1300 e 1500: già allora la città aveva una vocazione internazionale, che va difesa sempre più e che sarà sempre la sua salvezza».
In una città dove operano dei Moloch economici come il Consorzio Venezia Nuova, che gestisce enormi quantità di denaro in condizione di concessionario unico, come il Porto e l’Aeroporto, quali reali poteri ha il sindaco?
«Pensi a una cosa soltanto: la Laguna, l’acqua sopra la quale Venezia vive, è demanio dello Stato. Molti ritengono la città una sorta di zona extraterritoriale dove intervenire con iniziative che rispondono solo ai loro interessi. Venezia è una città dove l’apparato industriale è ormai limitatissimo e i veri poteri economici sono esercitati dai concessionari dello Stato che badano ai propri interessi patrimoniali pur svolgendo ruoli di interesse pubblico. Le Grandi Navi passano davanti a San Marco e l’Autorità portuale non contrasta questa soluzione perché è spinta dagli interessi dei suoi concessionari».
La politica controlla questi poteri?
«Il sistema è saltato perché la politica non li controlla. Semmai, come sta emergendo, ne cerca benefici. Ho avuto scontri duri, a cominciare dal ricambio pressoché totale della giunta precedente. Ho cambiato i vertici delle società partecipate, acquisito gli spazi dell’Arsenale togliendoli a Venezia Nuova, avviata la privatizzazione del Casino contrastando radicati interessi anche sindacali, ho provato a mettere molti paletti, in nome dell’ordinarietà e non della straordinarietà. Il prossimo passo sarebbe stato risolvere l’orrore del grande buco di fronte al Palazzo del Cinema del Lido e fermare lo scempio della demolizione dell’Hotel des Bains».
Un sindaco contro la politica e contro i grandi poteri economici?
«Un sindaco che è entrato in gioco a mani nude. Che aveva una pistola ad acqua contro dei carri armati. E’ una vicenda che deve far riflettere sul rapporto tra la società civile e la politica».
Il suo errore più grande?
«Un vizio di superbia. Ho pensato di potermi imporre a certi meccanismi. Te la fanno pagare».
Il Partito Democratico, locale e nazionale, sembra essersi ricompattato contro di lei.
«Già da tempo venivo molto sopportato, da quando mi sono sottratto alle loro richieste spartitorie».
Il momento più bello, da sindaco?
«La sera del 30 marzo 2010, dopo la vittoria al primo turno contro Renato Brunetta: un risultato del tutto insperato, anche dalla parte politica che mi appoggiava. Quella sera alla Fenice suonava Woody Allen, che fu molto affettuoso nei miei confronti. La Fenice in questi anni ha acquisito una visibilità internazionale e assieme alla Biennale è uno delle poche istituzioni culturali italiane ad avere una visione egemonica. Per difendere il Presidente della Biennale Paolo Baratta, mi sono scontrato con Giancarlo Galan, nel breve periodo in cui è stato Ministro della Cultura».
Si sente sconfitto?
«La mia è la sconfitta di un uomo che ha cercato di dedicarsi alla propria città. Ma può darsi che alla fine non mi penta di aver fatto il sindaco. Ho ricevuto in queste ore centinaia di messaggi di solidarietà, chissà che non mi ponga ancora al servizio della mia città, senza i partiti».
Il Mose si completerà?
«Dopo tutti i soldi che è costato, sottraendo molte risorse alla città, mi auguro che l’opera sia completata. Poi, saranno gli ingegneri a dirci se funzionerà davvero».
Le dimissioni sono già operative?
«La legge dice che le dimissioni scattano dopo venti giorni. Mi auguro che il Consiglio comunale approvi almeno il bilancio consuntivo e possibilmente anche quello preventivo. Se nella seduta di domani la maggioranza, cedendo a delle isterie collettive, deciderà di dimettersi, il Consiglio chiude e la città sarà commissariata».
Sandro Cappelletto, la Stampa 15/6/2014