John Micklethwait; Adrian Wooldridge, IL 13/6/2014, 13 giugno 2014
COME RIFARE LO STATO
Lo Stato moderno più che a un Leviatano – un mostro affamato di potere – assomiglia ad Augustus Gloop, il bambino avido de La fabbrica di cioccolato: viene punito dal suo stesso istinto profondo, ricevendo troppo di ciò che brama troppi doveri, troppo potere. Ha bevuto troppo dal fiume di cioccolata.
La sovralimentazione è opera sia della sinistra sia della destra. L’indiziato principale è la sinistra, che ha ripetutamente reinterpretato i concetti di uguaglianza, fraternità e libertà per giustificare l’ingozzamento dello Stato. L’uguaglianza delle opportunità è diventata uguaglianza di risultati. La fratellanza è diventata diritto di tutti alle medesime prerogative, e non condivisione di responsabilità. E ciò ha finito per cambiare l’idea di libertà grossomodo nella direzione temuta da John Stuart Mill e Isaiah Berlin: la gente non la associa più alla libertà dall’interferenza altrui, ma alla libertà dai flagelli sociali come l’ignoranza o il bisogno.
Ci sono conseguenze pratiche. Molte delle cose che lo Stato fa male sono quelle in cui assume l’incarico di inseguire sogni impossibili. Meno riesce a raggiungere obiettivi impossibili, più ricorre a correzioni a livello micro per compensare i propri fallimenti. Esaminando il problema del perché tanti programmi di governo siano inefficaci o controproducenti, uno dei più grandi economisti del Ventesimo secolo, Ronald Coase, l’ha messa così: «Una ragione importante potrebbe essere che lo Stato al momento è cosi grande che ha raggiunto un livello di produttività marginale negativa, il che significa che ogni funzione addizionale che assume farà probabilmente più male che bene... Se si stabilisse un programma federale per dare assistenza finanziaria ai boy scout perché possano aiutare le vecchie signore ad attraversare gli incroci trafficati, potremmo stare certi che non tutto il denaro andrebbe ai boy scout, che alcune delle assistite non sarebbero né vecchie né signore, che parte degli stanziamenti sarebbe destinata a convincere le vecchie signore a non attraversare gli incroci trafficati, e che molte di loro finirebbero uccise perché si metterebbero ad attraversare in posti privi di supervisione dove per lo meno avevano il permesso di attraversare liberamente».
L’agenda progressista ormai si sconfigge da sola. Ogni nuovo dipartimento, programma o prerogativa di governo complica per lo Stato l’esercizio delle sue funzioni base. Quando le imprese private sono in espansione spesso riescono ad approfittare delle economie di scala. Per le attività pubbliche questo genere di risparmio è meno frequente – e i problemi di coordinamento e di sovraccarico burocratico sono molto più comuni in un settore che non affronta la sanzione naturale della perdita di clienti o del rischio di bancarotta. Il che ha spinto le politiche progressiste in una spirale viziosa: lo Stato si ingrandisce sempre di più perché gli elettori vogliono sempre di più, ma gli elettori perdono fiducia nello Stato appena comincia a pesare sulle loro vite, il che li spinge a chiedere ancora di più. Le stesse forze che guidano l’espansione dello Stato, allo stesso tempo minano la sua pretesa di autorità. Ciò crea un sentimento costante di frustrazione e paura. I cittadini temono che non avranno le pensioni o le cure mediche su cui da sempre avevano fatto affidamento.
Ma la sovralimentazione non è stata opera della sola sinistra. La destra è altrettanto colpevole di “Gloopismo”. Guardate per esempio la crescita delle misure di sicurezza a seguito dell’11 settembre. Anche qui gli elettori erano d’accordo, volevano uno Stato più sicuro. E anche qui hanno sofferto, perché le loro aspettative non sono state soddisfatte. L’equilibrio tra libertà e sicurezza è cambiato drasticamente, in una maniera che potrebbe non aver aumentato la sicurezza, ma ha di certo diminuito la libertà. Fino a poco tempo fa si dava per scontato che i mali dello Stato di sicurezza fossero confinati “laggiù”, a Guantanamo, ad Abu Ghraib, e alle extraordinary renditions. Ma le rivelazioni di due whistle-blowers, Bradley Manning e Edward Snowden, hanno mostrato un autentico Leviatano segreto, capace di archiviare più di novantadue milioni di documenti in un anno e di dare accesso ai files top secret a 1,8 milioni di persone, tra cui lo stesso Manning, un soldato ventenne di basso grado ed emotivamente instabile. Chi ne è responsabile? L’autorità per monitorare le conversazioni private dei cittadini americani (e non americani, come Angela Merkel) è stata accordata tramite ordini giudiziari segreti emanati da una corte segreta basata su un’interpretazione segreta della legge. C’è stata un’attività di controllo da parte di una Commissione del Senato – è stato riconosciuto ufficialmente – ma i politici che supervisionavano erano legati a ulteriori vincoli di segretezza: e il capo del servizio di intelligence americano non si è fatto problemi a mentire al Congresso quando gli è stato chiesto se lo spionaggio rivelato da Snowden fosse ancora in corso. Questo è sintomatico del sovraccarico dello Stato da sinistra e da destra. Nessuno sa esattamente che cosa sta succedendo. Ogni nuovo dipartimento statale, ogni nuovo programma governativo allunga e quindi assottiglia la capacità dei cittadini e dei loro rappresentanti di monitorare il comportamento dello Stato e di correggerne errori e abusi. Lo Stato è come una corporation troppo grossa – pensate alla ITT al suo apice, negli anni Sessanta – coinvolta in così tanti affari che i dirigenti hanno poco chiaro cosa stia succedendo ai piani bassi dell’organizzazione. Guardate il vortice di scandali intorno alla Casa Bianca di Obama, dal telefonino intercettato di Angela Merkel allo scrutinio speciale riservato alle dichiarazioni fiscali di alcuni gruppi conservatori, e lo scandalo vero è il fatto che la pessima scusa di Obama (come può sapere il presidente che cosa fanno i due milioni di suoi dipendenti?) potrebbe essere vera.
Jonathan Rauch riporta bene il senso di alienazione nel suo Demosclerosis. Il governo americano, dice, «probabilmente si è evoluto nella sua incarnazione finale: una struttura in continua espansione, in larga parte auto-organizzata, che solo per un dieci-venti per cento è sotto il controllo di politici ed elettori e per un ottanta-novanta per cento è sotto il controllo di innumerevoli gruppi clientelari». Le sue parole potrebbero descrivere altrettanto bene quel che accade a Whitehall, sede del governo inglese, o nell’apparato organizzativo di Bruxelles.
Quando un’azienda è fuori controllo, tende a perdere denaro e fare debiti. Il governo britannico ha avuto un bilancio in attivo solo sei volte dal 1975. Il governo americano l’ha avuto solo in cinque dei cinquantadue anni a partire dal 1960. Nei quindici anni dal 1965 al 1980, il deficit federale annuale ha toccato il tre per cento del Prodotto interno lordo nazionale solo due volte. Negli ultimi venticinque anni l’ha fatto tredici volte. Un numero incredibile di Paesi accumula debiti che superano il cento per cento del Pil; e questa proporzione è raggiunta soltanto seppellendo in note a piè di pagina ogni sorta di debiti e obbligazioni. Molto poco di questo denaro preso a prestito va a finanziare investimenti. Da Baltimora e Brasilia, alimenta invece i programmi assistenziali. George Bernard Shaw una volta ha commentato sarcastico che i politici possono sempre fare affidamento sul voto di Paul se gli danno i soldi che rubano a Peter. Il che sottostima il problema della democrazia, perché Paul è un anziano e Peter è un bambino, o addirittura non è ancora nato.
Uniti alla fine
La Quarta Rivoluzione ha tante ragioni. Bisogna convogliare il potere della tecnologia per fornire servizi migliori. Bisogna trovare idee intelligenti da ogni angolo del mondo. Bisogna sbarazzarsi delle legislazioni sul lavoro ormai obsolete. Ma al cuore della questione c’è il bisogno di ridare vita al potere di due grandi idee liberali.
C’è bisogno di ridare vita allo spirito della libertà mettendo più enfasi sui diritti individuali e meno sui diritti sociali. E c’è bisogno di ridare vita allo spirito della democrazia alleggerendo il carico dello Stato. Se lo Stato promette troppo, crea malumore e dipendenza nei cittadini; è solo riducendo le promesse che la democrazia sarà in grado di esprimere il suo istinto migliore di flessibilità, innovazione e capacità di risolvere i problemi. È una battaglia di enorme importanza. La democrazia è la migliore salvaguardia per i diritti basilari e le libertà basilari. Ed è la migliore garanzia per l’innovazione e la risoluzione dei problemi. Ma lottare contro i suoi istinti peggiori sarà dura.
Le tre rivoluzioni di cui parliamo nel libro sono state straordinariamente combattute. I rivoluzionari hanno dovuto mettere in discussione assunti incrollabili e sognare un mondo diversissimo, spesso a dispetto della forte opposizione di chi era al cuore dello Stato. Thomas Hobbes definì un mondo in cui il potere era giustificato non da Dio o dal sangue ma dalla propria abilità di risolvere il problema dell’ordine pubblico. I grandi costruttori di nazioni agli albori dell’Europa moderna dovettero affrontare signorie spirituali e temporali gelose dei propri privilegi. Dovettero pure creare una macchina amministrativa in un mondo in cui viaggiare era complicato e c’era scarsità di burocrati istruiti. John Stuart Mill immaginò un mondo in cui il potere era limitato dalla libertà individuale. I grandi riformatori del Diciottesimo e Diciannovesimo secolo combatterono una lunga battaglia con le forze dell’Antica Corruzione che guadagnavano tanto dal vecchio mondo. Beatrice Webb riconsiderò le convinzioni della sua giovinezza sui mali dell’intervento dello Stato. I socialisti del Ventesimo secolo furono indefessi costruttori di istituzioni e crearono il welfare state moderno, con le sue scuole, gli ospedali e i sussidi di disoccupazione, affrontando un contesto enormemente diffidente.
Eppure ciascuna di queste rivoluzioni portò grandi risultati. La giovane Europa moderna divenne il continente più dinamico del mondo. L’Inghilterra vittoriana creò uno Stato liberale che offrì servizi migliori a un costo più basso di quello dell’Antica Corruzione, fece da supervisore alla transizione alla democrazia di massa minimizzando il caos del processo, e regnò su un vasto impero a prezzi contenuti. Il welfare state fornì a milioni di persone una sicurezza tangibile in un mondo che poteva essere orribilmente difficile.
La Quarta Rivoluzione non sarà più facile delle precedenti: il successo a metà delle riforme Reagan-Thatcher lo dimostra. Costringerà molti occidentali a ripensare due cose considerate, da molti, beni autoevidenti: il welfare e la pratica della democrazia. Ma è solo perché da ultimo sono diventati autodistruttivi: il welfare è proliferato a dismisura e la democrazia è diventata autoindulgente, scadente, e troppo spesso corrotta. Sarà dura convincere la gente che uno Stato più snello e che offre meno benefici possa essere più forte. E sarà dura imporre regole autolimitanti alla democrazia. Ci saranno tante opportunità per i demagoghi con interessi particolari. I parlamentari non cederanno facilmente i loro collegi; il capitalismo dei compagni di merende lotterà duro per le proprie sovvenzioni.
Ma i riformatori dovrebbero andare avanti, rimanendo aggrappati alle tre grandi verità innegabili della loro causa. La prima è che il costo dell’inazione è alto – come lo sarebbe stato se ai suoi albori l’Europa moderna si fosse rifiutata di costruire macchine statali o se l’Europa dell’inizio del Ventesimo secolo avesse rinunciato a offrire servizi per i poveri. Se non riformato, il welfare moderno ristagnerà per il suo stesso peso: già non riesce ad aiutare la gente che ne ha più bisogno, sperperando la propria generosità a vantaggio di interessi acquisiti già molto coccolati. E la democrazia andrà sprecata come previsto da John Adams. La seconda verità innegabile è l’opportunità. I vantaggi di una Quarta Rivoluzione sarebbero radicali: ogni Stato che valorizzerà le forze innovative più potenti della società si staccherà dai suoi pari. E, infine, i riformatori hanno la storia dalla propria parte: questa rivoluzione ha come oggetto la libertà e i diritti dell’individuo. È la tradizione che ha dato la spinta prima all’Europa e poi all’America. L’Occidente è stata la regione più creativa del mondo perché ha reinventato lo Stato diverse volte. Abbiamo fiducia che lo possa fare ancora, anche in tempi difficili come questi.