Gilberto Corbellini, Domenicale – Il Sole 24 Ore 15/6/2014, 15 giugno 2014
SULLA PELLE DEI PAZIENTI
Chi ha redatto e approvato il nuovo Codice di Deontologia Medica non deve aver letto il libro di Carlo Augusto Viano La scintilla di Caino (Bollati Boringhieri), dove si dimostra che la coscienza del medico, via via che la medicina è diventata un mezzo di liberazione dell’uomo, si trasformava da strumento per proteggere i pazienti da abusi, a pretesto per rifiutarsi di rispettare decisioni che rientrano nell’esercizio dei diritti fondamentali dell’individuo. L’arcinota litania del medico «che agisce in scienza e coscienza» è tirata in ballo per giustificare tutto, ma anche il suo contrario. Mentre la ricerca neuroscientifica getta luce sulla scarsa affidabilità morale della coscienza – nonché su aspetti rilevanti anche per le conseguenze dei disturbi che la colpiscono – proprio i medici si ostinano a pretendere di far prevalere la "loro" di coscienza, a scapito di quella dei pazienti. In particolare rispetto al diritto all’autodeterminazione.
Il nuovo codice non è cambiato molto, rispetto a quello del 2006 (quindi recentissimo), ma significativamente in peggio. Come rileva anche Sandro Spinsanti, che ha cominciato a insegnare etica medica in Italia dal 1976 e qualcosa ci capisce, in un’editoriale pubblicato sul sito di Aifa (http://www.agenziafarmaco.gov.it/it/content/nuovo-codice-medico-deontologico-tanta-ombra-sotto-il-sole). Leggiamo dal nuovo articolo 1: «Il codice, in armonia con i principi etici di umanità e solidarietà, e civili di sussidiarietà, impegna il medico nella tutela eccetera». Nel 2006 recitava: «Il comportamento del medico anche al di fuori dell’esercizio della professione, deve essere consono al decoro e alla dignità della stessa, in armonia con i principi di solidarietà, umanità e impegno civile che la ispirano». A parte che era scritto meglio, la scelta di specificare che umanità e solidarietà sono principi etici, e di introdurre il principio civile (unico, quindi perché il plurale?) di sussidiarietà, significa fondare il Codice su sentimenti marcatamente religiosi; al di là delle valenze politico-economiche assunte dalla sussidiarietà nell’ambito sanitario. Perché non anche equità, beneficialità e rispetto dell’autonomia del paziente? Di libertà e autonomia si parla all’articolo 4 e altrove: ma solo per il medico.
Una parte dei medici critica l’inserimento degli articoli sulla «medicina potenziativa ed estetica» e sulla «medicina militare», ritenuti frutto di pressioni extra-professionali. E vi è chi lamenta la scomparsa di termini come «comparaggio», «eutanasia» e «dovere». Gli ordini di Bologna e Milano minacciano di non applicare il nuovo Codice. Valeva la pena generare tante insoddisfazioni? L’articolo sulle «Dichiarazioni anticipate di trattamento» sembra copiato dalla pessima legge approvata (solo) dal Senato nella scorsa legislatura. Anche quello sulla «Procreazione medicalmente assistita» è poco conforme alla Costituzione. Perché scrivere che è vietata la «selezione etnica o genetica», nonché «la produzione di embrioni ai soli fini di ricerca»? Intanto non si capisce a chi possa venire in mente di praticare la «selezione etnica», e come potrebbe in Italia. Ma la diagnosi preimpianto, giudicata legittima dalla Corte di Strasburgo e da un tribunale italiano, è una forma di «selezione genetica», che consente a una coppia di evitare l’aborto per non far nascere un figlio con grave malattia genetica. Inoltre, la produzione e l’impiego di embrioni (umani!) nella ricerca è lecito e legittimo in alcuni Paesi civili.
Nonostante il caso Stamina, l’Ordine non ha pensato di aggiornare gli articoli sui trapianti di organi, tessuti e cellule, dicendo qualcosa sul ruolo del medico al fine di evitare che malati disperati cadano preda di ciarlatani e intraprendano costose e dannose avventure. Una conferma che sulla vicenda Stamina i vertici dell’Ordine sono stati asfaltati per pavidità o calcolo. Invece di dedicarsi ad accumulare potere e cariche tra loro in conflitto (il presidente è anche senatore eletto nelle file del Partito Democratico), dovrebbero, forse, farsi un esame di... coscienza. Dato che dei medici hanno aiutato Vannoni & Co., nonostante l’articolo 13 del Codice: «Il medico non deve adottare né diffondere terapie segrete». D’altro canto, la comunità degli scienziati muoveva ogni possibile angolo del mondo in patria e fuori (premi Nobel, accademie e nostri politici) offrendo tutte le informazioni e i dossier risultanti dalle loro indagini sull’infondatezza e gli interessi economici di Stamina, e senza mai mascherarsi dietro la «compassione non compassionevole» all’italiana. Se i medici non capiscono che l’informazione che rende valido il consenso deve prima di tutto essere veritiera, persisterà il rischio che altri comitati etici compiano l’errore di quello degli Spedali Civili, che ha dato il via libera ai trattamenti Stamina e all’abuso di bambini come cavie.
L’articolo più incredibile è il 15: «Sistemi e metodi di prevenzione, diagnosi e cura non convenzionali». Scandaloso per i modi ipocriti in cui è scritto, che smentiscono tutto quello che nel resto del Codice si dice circa l’impegno (mai dovere!) del medico ad attenersi alle conoscenze e prove scientifiche, quando queste sono disponibili, nell’esercizio della professione.
All’origine della revisione del Codice sembra esservi l’accordo tra la parte politica dei medici affetta da tic antiscientifici, che vuole sdoganare le medicine alternative e accentuare la connotazione burocratico-amministrativista della medicina, e la parte che vuole ristabilire il paternalismo e alcuni valori illiberali, temporaneamente superati dalla storia. Un compromesso fatto sulla pelle dei pazienti e a scapito dei loro diritti fondamentali, che definisce un profilo più tecnico, che scientifico e intellettuale, per il medico. Se si confronta l’evoluzione storica dei codici deontologici dei medici, con quelli degli infermieri, sembra che mentre questi ultimi cercano di alzare il profilo etico della professione, i medici procedano in senso contrario. Per non dire dell’effetto che fa costatare la farraginosità e lo stile involuto del Codice italiano, a fronte della limpidezza, per esempio, di quello francese.
Gilberto Corbellini, Domenicale – Il Sole 24 Ore 15/6/2014