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 2014  giugno 15 Domenica calendario

LA GUERRA INFURIA SULLE ICONE


La leggenda racconta che, inseguita dai soldati inviati per ucciderla, santa Tecla finì spalle al muro contro la parete rocciosa di Maloula. Senza via di scampo la discepola di San Paolo pregò Dio di aiutarla e miracolosamente un fulmine aprì una fessura nella roccia che richiudendosi al suo passaggio impedì ai soldati di catturarla. Ma nessuna invocazione divina dei cristiani della Siria questa volta è riuscita a salvare le sue reliquie dallo scempio e la città, con i suoi tesori, dalla distruzione.
Incastonata nelle falesie della catena strategica del Qalamoun, Maloula, dove si parla ancora l’aramaico, la lingua di Gesù Cristo, era uno dei patrimoni dell’umanità con migliaia di anni di storia: le grotte venivano utilizzate dalla preistoria come luoghi di culto e sepoltura. Fino a un anno fa qui e a Seidnaya, altra famosa meta di pellegrinaggio, trovavano rifugio i cristiani scappati da Homs e Hama. Oggi Maloula è una città fantasma, dove pochi cristiani sono tornati a raccogliere le suppellettili salvate dal saccheggio o per adattarsi a vivere in abitazioni sgretolate, quasi delle catacombe, senza acqua né luce.
I guerriglieri islamici anti-Assad di Jabat al Nusra, sostenuti dai finanziamenti sauditi e qatarini che pagano con dollari sonanti le brigate di combattenti, hanno sfregiato quadri e icone, incendiato libri sacri e codici antichi di chiese che risalgono al terzo e al quarto secolo.
Anche le reliquie di santa Tecla, dove c’è il convento (Deir Mar Teqla) di rito greco ortodosso sono state profanate e disperse: vediamo le pietre che le custodivano abbandonate in un angolo salendo scalinate macchiate ancora dal sangue dei combattimenti. La tomba della santa aveva un’aria pittoresca e leggiadra con alcune piccole cappelle scavate nella roccia ora annerite dagli incendi e dai colpi di mortaio. Era qui che visse Tecla quando, dopo avere ascoltato un discorso di san Paolo, rifiutò di sposarsi per aderire ai dettami dell’ascetismo e diventare una sorta di antica icona femminista che aveva respinto le attrazioni mondane sfidando le ire della famiglia e le profferte di matrimonio di un nobilastro locale.
Ma il ciclo di immagini che ne raccontavano la vita, dalla prova del rogo al combattimento della leonessa che la salva dagli aguzzini, i suoi ritratti, quelli di Gesù, della Madonna, di cavalieri e cortei medioevali, sono stati il bersaglio impietoso di jihadisti iconoclasti che hanno irrimediabilmente sfregiato tutti i volti umani. Non è questa la prima volta che assistiamo in anni recenti alla furia di un fanatismo dettato dall’ignoranza: ma il Corano, nonostante radicati luoghi comuni, non proibisce raffigurazioni naturalistiche o realistiche.
«Provo una grande gioia a tornare ma anche un’enorme tristezza nel vedere come è ridotta la mia piccola e bellissima città», dice la signora Ama Mahallam, moglie di un miliziano cristiano. «I jihadisti – spiega Lan Haddad, che vive accanto all’orfanotrofio incendiato – erano presenti qui da almeno un anno, si erano infiltrati come visitatori, ospitati da famiglie musulmane che conosciamo benissimo: quando la quinta colonna ha ricevuto l’ordine di attaccare erano già potentemente armati e avevano avuto tutto il tempo di conoscere perfettamente questo territorio impervio e pieno di insidie».
Scavato nella roccia dalle acque che scendono dall’altopiano sopra Maloula, si apre un canyon profondo e suggestivo che porta al monastero e alla Chiesa greco cattolica dei santi Sergio e Bacco (Deir Mar Sarkis). Era da questa altura che i guerriglieri islamici, asserragliati nell’Hotel Safir – ora completamente sbriciolato – tenevano sotto tiro la città collocata sulla direttrice vitale del corridoio Damasco-Homs. Orgoglioso della riconquista, un giovane cristiano del Comitato di Difesa Popolare a voce alta recita allo straniero il suo benvenuto in aramaico: ma adesso, in questo fragoroso silenzio, la sua voce si perde tra gole deserte, case scoperchiate e campi di ulivi abbandonati.
All’interno della chiesa bizantina, dove era riconoscibile l’impronta di un tempio dedicato ad Apollo, i jhadisti non hanno lasciato intera una pietra e si sono accaniti anche sull’altare. La cupola è danneggiata, probabilmente dall’aviazione di Assad che tentava di stanare i guerriglieri islamici. Ma soprattutto appare incerta la sorte delle icone custodite del monastero, autentici capolavori del XVII secolo. Purtroppo non è questa una novità: in Siria, oltre ai monumenti islamici, ai mosaici bizantini, alle chiese, stanno scomparendo templi romani ed ellenistici (seimila siti) e arrivano racconti inquietanti di quanto è accaduto agli scavi di Ebla e Palmira: tra i colonnati ci sono postazioni di mitragliatrici, arsenali di armi e scavi clandestini.
Maloula è un esempio della ferocia e delle contraddizioni della guerra civile siriana che in tre anni ha fatto oltre 160mila morti. Qui, dove prima del conflitto le ricorrenze dei santi si festeggiavano con danze, fuochi d’artificio e bevute di arak, l’acool locale, si è combattuto per otto mesi, dal 9 settembre a maggio. I jihadisti di Jabat al Nusra nei mesi precedenti avevano occupato la città appoggiati da una parte della popolazione musulmana (il 30%, il 70% sono cristiani), si era però raggiunto un accordo di tregua ma i ribelli quando hanno ricevuto nuovi rinforzi hanno attaccato le basi dell’esercito e messo in fuga i diecimila abitanti cristiani; poi hanno rapito le suore del convento di santa Tecla e le hanno rilasciate a Yabroud in cambio di prigionieri dell’opposizione. Quindi è iniziata la parte più distruttiva della battaglia, con combattimenti durissimi mentre l’aviazione siriana bombardava a tutto spiano per avere ragione della guerriglia. «Erano due-tremila jihadisti insediati in un territorio aspro e complicato», sembra giustificarsi il generale siriano Sohil.
Per riprendere Maloula sono dovuti intervenire gli Hezbollah, le ben addestrate milizie sciite libanesi alleate dell’Iran e dell’appena rieletto presidente Bashar Assad, che hanno sconfitto gli integralisti sunniti: ecco un altro volto di questo conflitto, una sorta di guerra settaria e per procura all’interno dell’Islam che attraversa tutto il Levante arabo. Questo spiega perché adesso a Maloula, insieme alla bandiera nazionale, sventola quella gialla degli Hezbollah accompagnata dal ritratto del loro barbuto leader Seyed Nasrallah, diventato ormai un eroe dei cristiani siriani.
Ma ora sulla montagna di Maloula dove il monastero di Mar Sarkis un tempo dominava l’orizzonte, tutto è avvolto nel silenzio, spazzato dal vento che soffia tra le rovine lasciate dalla battaglia del Qalamoun. Se continua così tra qualche tempo avremo soltanto il ricordo di una Siria che non c’è più.

Alberto Negri, Domenicale – Il Sole 24 Ore 15/6/2014