Stefano Folli, Il Sole 24 Ore 15/6/2014, 15 giugno 2014
UN PASSO ALLA VOLTA RENZI CONSOLIDA IL SUO SISTEMA DI POTERE E VA AVANTI
La giornata dell’assemblea del Pd insegna poche cose, ma chiare. La prima, del tutto prevedibile, è che l’istinto di potere non si è certo affievolito in Matteo Renzi dopo il successo ottenuto nelle elezioni europee. Al contrario, si è accentuato. Quel grande pannello dietro il palco dell’oratore con il numero magico – 40,8 – riprodotto in caratteri giganteschi, ne è la prova. Il consenso elettorale è la catapulta che scaglia il dardo renziano contro tutti coloro che ostacolano non tanto le riforme in se stesse, quanto le riforme come le hanno concepite e le portano avanti il premier e il suo gruppo di collaboratori.
Ne deriva che al manipolo dei senatori dissidenti non è stato concesso alcunché, nemmeno qualche parola di circostanza sull’articolo 67 della Costituzione (il parlamentare esercita la sua funzione «senza vincolo di mandato», cioè senza essere succube del suo partito) e sull’opportunità di rispettarlo in futuro. Lo chiedeva fra gli altri il senatore Vannino Chiti, principale oppositore del progetto di trasformazione del Senato. Ma Renzi ha tirato dritto per la sua strada, convinto di avere comunque in tasca i numeri per approvare il testo costituzionale a Palazzo Madama. Il che presuppone che prenda forma realmente, attraverso la persona di Calderoli, il negoziato con la Lega di cui si mormora da giorni; e ovviamente c’è bisogno che anche i berlusconiani rispettino nella sostanza il patto originario con il presidente del Consiglio.
Altro punto emerso con chiarezza nel corso della giornata: il disegno politico passa, come è ovvio, attraverso un Pd ben ricompattato dietro il suo leader. E allora ecco Matteo Orfini, già collaboratore di D’Alema, eletto alla presidenza. E poi alcuni gesti simbolici, come il ripristino della Festa dell’Unità. Operazioni che servono a rassicurare il corpo del partito e i quadri, nel momento in cui i dissidenti sono isolati e ignorati, in sostanza relegati al ruolo di "palude". Tutto questo aiuta a dare slancio al leader e a sostenere i suoi piani riformistici che non toccano solo il Senato, il titolo V e la legge elettorale, ma investono come è noto la pubblica amministrazione e il lavoro. Molti cantieri aperti e ancora quasi nessuna certezza, ragion per cui quel cartellone che ricorda il 40,8 per cento è soprattutto un modo per farsi coraggio e mostrarsi determinati.
Il presidente del Consiglio sa bene che gli italiani gli hanno dato fiducia comprando con il loro voto un po’ di speranza: non gradirebbero essere trascinati di nuovo alle elezioni, questa volta politiche, perché il leader non riesce a governare nonostante i consensi avuti. Questo era il film visto e stravisto negli anni di Berlusconi. Renzi deve dimostrare di avere stoffa di statista; e uno statista gli ostacoli trova il modo di superarli con astuzia e prudenza, non vi si schianta contro a tutta velocità. Ultimo aspetto emerso nell’assemblea del Pd – ma non è una novità – è che il premier sta costruendo intorno a sé una forma di presidenzialismo piuttosto evidente. Dopo tante sciocchezze scritte sulle tendenze presidenzialiste di Giorgio Napolitano, risulta chiaro chi si sta preparando a fare dell’Italia una vera Repubblica presidenziale. La trasformazione del Senato e la contemporanea riforma elettorale potrebbero essere i passi finali prima di una svolta a suo modo storica.
Stefano Folli, Il Sole 24 Ore 15/6/2014