Giorgio Ponziano, ItaliaOggi 14/6/2014, 14 giugno 2014
IL BURATTINAIO È VANNINO CHITI
È lui il grande vecchio (anche se ha solo 67 anni). Se Corradino Mineo, da bravo ex-giornalista tv, sa destreggiarsi in comunicazione (e in intemperanze), il regista dell’opposizione senza-se-e-senza-ma alla riforma su cui Matteo Renzi ha scommesso il suo futuro politico è Vannino Chiti. È lui che ha disatteso tutti gli inviti al dialogo di Renzi (facendo andare avanti Mineo) e soprattutto ha redatto una riforma del Senato opposta a quella proposta da Renzi e che, per di più, ha ottenuto l’ok dei 5stelle. Grillo ha dato a Chiti quello che non ha mai dato a Renzi. E nel baillame interno al Pd, Chiti ha giocato proprio questa carta: meglio andare avanti coi grillini, sperando che sia l’inizio di un dialogo, che con Berlusconi. Ovvero una specie di cavallo di Troia per Renzi dentro al partito, dove ancora in tanti non hanno digerito il suo embrasson nous col Cavaliere, anche se il 40% delle europee ha sopito il dissenso, che però cova sotto la cenere e Chiti ha il legno pronto per fare ardere il fuoco.
Dice: «Ritengo che il nuovo Senato debba essere eletto direttamente dai cittadini, contestualmente alle elezioni per i consigli regionali, con un sistema proporzionale e le preferenze. I cittadini hanno il diritto di scegliere i propri rappresentanti. Sarà la legge elettorale, non la Costituzione, a definire gli aspetti di dettaglio. Si parla di un modello elettorale chiamato abusivamente francese. Prevede infatti la presenza di diritto nel Senato dei presidenti di Regione, mentre in Francia non esistono senatori di diritto e da marzo scorso i presidenti di Regione e i sindaci sono incompatibili con il ruolo di parlamentari. Inoltre, in Francia ogni cittadino che abbia compiuto 24 anni può essere eletto senatore. Conosco bene i difetti del porcellum contro cui mi sono lungamente battuto: infatti penso che si debba modificare l’italicum, introducendo le preferenze o i collegi uninominali. Meglio ancora, per stare davvero alla Francia, con il sistema uninominale a doppio turno».
Al di là delle sue proposte, quella che a Chiti proprio non va è quella di Renzi, anche per una questione di metodo: «Non si può - afferma Chiti- fare una riforma a pezzi, occorre uno sguardo d’insieme. La Costituzione è fatta di equilibri tra poteri e istituzioni. Partiamo dall’italicum allora, una legge iper maggioritaria: con il 37% dei consensi, e con l’aiuto di chi non raggiunge il 4,5% per accedere ai seggi, si può fare l’en plein. Inoltre il nuovo Titolo V non rappresenta quella razionalizzazione attesa da tempo, ma una ricentralizzazione di competenze allo Stato in controtendenza con l’Europa».
Renzi, a cui non manca certo il decisionismo, non ha espulso dalla commissione delle riforme costituzionali solo la vetrina (Mineo) ma anche il gestore (Chiti) che era il bersaglio principale. A nulla è servita l’avance di Chiti sulle indennità, altro tema caro a Renzi. Anzi, alla fine è apparsa un’ulteriore puntura di spillo al segretario Pd, che, dopo tanto parlare di indennità (anche a livello regionale) ora sembra avere dimenticato l’argomento. «Ritengo- ha detto Chiti- che si debba discutere, da subito, anche delle indennità dei deputati e dei senatori: già in questo parlamento si devono equiparare a quella del sindaco di Roma, come aveva proposto il Pd nella campagna elettorale per le politiche del 2013».
La risposta di Renzi: prego, si accomodi fuori dalla commissione. E lui commenta: «Vedo una deriva plebiscitaria. Se si dà un colpo alla rappresentanza e al ruolo dei gruppi parlamentari e se si ritiene che contino solo da una parte le primarie, dall’altra una sorta di centralismo autoritario». Chiti fuori dal Pd sarebbe davvero un evento politico eclatante: «Da questo partito se vogliono mi cacciano - dice - ho contribuito a realizzarlo, certo lo sognavo in un modo un po’ diverso, penso che dovrebbe migliorare, ha una grande potenzialità come dimostra il 40%, ma non può essere un partito plebiscitario-autoritario».
Vannino Chiti è pistoiese. Tessera Pci e fervente cattolico, ha pubblicato anche un libro: Religioni e politica nel mondo globale. Protagonista della classica scalata comunista: consigliere comunale, sindaco, consigliere regionale, presidente della Regione Toscana (1992 al 2000). Poi in parlamento (dal 2001), dove Romano Prodi lo nomina ministro delle Riforme e dei rapporti col parlamento. Tutto tranquillo, fino all’arrivo di Matteo Renzi e Maria Elena Boschi. Lui non viene consultato sulla proposta di riforma del Senato , chiede un convegno sul tema e si sente rispondere dal ministro Boschi: «Sono solo 30 anni che se ne discute fra commissioni, bicamerali, seminari, convegni. Ora si passa all’azione». Allora presenta un progetto alternativo e si arriva allo scontro di questi giorni.
II suo progetto di riforma prevede il dimezzamento del numero dei deputati e la riduzione a 100 dei senatori, per un totale di 415 parlamentari. Il testo differenzia i compiti delle due Camere e soprattutto prevede l’elezione diretta su base regionale dei senatori, con tanto di preferenza. Sotto la proposta ci sono non solo le firme di 22 senatori Pd, tra i quali. Felice Casson e Massimo Mucchetti (oltre a quella di Mineo) ma anche dei grillini Orellana, De Pin, Bocchino e Campanella. Civatiani e Sel dichiarano di condividerlo. Cuperlo, invece, si defila e sta con Renzi.
Chiti spiega: «La posta in gioco è troppo importante. La Costituzione va vista nel suo insieme: esige equilibri tra le istituzioni e tra i poteri. Non si può avere per la Camera una legge ipermaggioritaria, com’è l’Italicum, ricentralizzare molte competenze, come è nella proposta del governo del nuovo Titolo V, e indebolire le funzioni di garanzia oltre che di rappresentanza del Senato. Se le modifiche della Costituzione non hanno un raccordo unitario non si realizza un aggiornamento coerente ma si rischia di impoverire la nostra democrazia».
Però c’è un problema di fedeltà al governo. «Quando si affrontano le riforme costituzionali - risponde - un governo avrebbe l’obbligo di dare un indirizzo, ma poi dovrebbe muoversi con prudenza. Su questo argomento non può dare diktat, perché la Costituzione vale più di ogni governo». Adesso, con l’esclusione dalla commissione di Chiti, Mineo e di Mauro Mauro (da parte dei Popolari per l’Italia) la proposta è destinata al cestino. Anche se lui assicura che continuerà a battersi contro la riforma-Renzi. Sostenuto (forse) dai 14 senatori che si sono autosospesi dal Pd per protesta, capeggiati dal senatore Paolo Corsini: «La rimozione rappresenta un’epurazione delle idee considerate non ortodosse».
Una prima, piccola rivincita Chiti se la prende col governo che va sotto sulla responsabilità civile dei giudici: «Per rimediare al gravissimo errore compiuto alla Camera, dove, con l’approvazione di un emendamento della Lega, si attacca l’autonomia dei magistrati, proprio nel momento di grandi inchieste sulla corruzione, il presidente del Consiglio ha detto che si rimedierà al Senato. Meno male che il Senato c’è. Tra un anno, con la riforma costituzionale presentata dal governo, la decisione sarebbe stata definitiva».
Twitter: @gponziano
Giorgio Ponziano, ItaliaOggi 14/6/2014