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 2014  giugno 15 Domenica calendario

L’ONOREVOLE COMPAGNIA DEI CRAVATTARI DI CAMPO DE’ FIORI


Alla fine degli anni Sessanta, si vengono a realizzare, in campo nazionale, i presupposti per un’anomala alleanza tra mafiosi, gangster, capitalisti e speculatori d’assalto.
La criminalità organizzata, e in particolare Cosa Nostra, inizia a imporre la propria presenza imprenditoriale aggressiva ed infiltrata in quei settori dove maggiore e più rapido è il livello dei profitti ottenibili: l’edilizia tradizionale e quella legata al settore turistico. Inevitabile che la nuova comunanza d’interessi tra mafiosi, capitalisti e speculatori d’assalto trovi uno dei terreni più fertili nella Capitale, ove maggiori sono le occasioni e le collusioni, in un’epoca in cui, nel Paese, viene perpetrato lo scempio edilizio.
In Roma, tra l’ultimo scorcio degli anni ’70 e i primi anni ’80, s’intersecano e trovano composizione gli interessi, talvolta in conflitto, di varie consorterie criminali. La costante presenza qui, di esponenti di primo piano delle varie componenti della Camorra napoletana; l’insediamento, già dagli anni Trenta, di una famiglia di Cosa Nostra a Napoli, con solidi legami a Roma, dipendente, negli anni ’70, da Michele Greco ed i cui principali esponenti sono i fratelli Zaza, Ciro Nuvoletta, Ciro Mazzarella, Nunzio Barbarossa e i fratelli Sciorio; la concomitante presenza nella Capitale, sempre negli anni ’70, sia di una "decina" della "famiglia" di Stefano Bontade, comandata da Angelo Cosentino, zio di Francesco Bertolino; sia di Pippo Calò, capo mandamento di Porta Nuova.
In questo affollato parterre, mentre alla neonata banda della Magliana s’impone di confrontarsi, sul proprio territorio, sia con la Camorra sia con Cosa Nostra, la componente del Testaccio, anima del sodalizio meno intransigente e, quindi, maggiormente disposta al compromesso, si collega invece a Cosa Nostra, alla criminalità camorristica campana, alla criminalità organizzata calabrese ed agli ambienti dell’eversione di destra, oltre che ad esponenti dei Servizi di Sicurezza e ad appartenenti alle Forze dell’ordine, con conseguente differenziazione sia delle attività criminali.
È nei primi anni Ottanta che il fuoco dell’attenzione poliziesca si concentra su quella che potremmo definire la Compagnia degli onorevoli cravattari di Campo de’ fiori, collegata ad analoghi cartelli di "finanziatori privati", in Italia sia all’estero.
Flavio Carboni, il più famoso tra gli assidui frequentatori di "finanziatori privati" e spregiudicato fruitore di "prestiti a strozzo", dell’ultimo mezzo secolo, ha descritto, il tipo antropologico e la Weltanschauung di questi usurai capitolini: «Oggi, senz’altro, ci si può e deve porre il problema della provenienza dei denari che alimentano il settore del "finanziamento privato", ma allora tale problema neppure si prospettava. "Usuraio" era considerato soltanto chi erogava prestiti a persone bisognose, sicché tale non veniva considerato chi "vendeva soldi" ad imprenditori i quali (...) ricorrevano ai prestiti per finanziare operazioni speculative. Certo, il "finanziatore privato" teneva in sudditanza chi a lui faceva ricorso, magari si tratteneva i titoli già onorati, esercitava le più svariate forme di pressione per rientrare nelle sue spettanze e di vessazione, ma se capitava che il "finanziatore privato" denunciasse per truffa il debitore, certamente non avveniva il contrario. D’altra parte, la moltiplicazione del denaro per effetto degli interessi era tale da indurre a non sospettare sulla provenienza del denaro che veniva investito nel "finanziamento privato"». E aggiungeva, a mo’ d’esempio, il "faccendiere sardo": «il mio rapporto con i "finanziatori privati" non fu mai, all’epoca, particolarmente traumatico: fermo restando che non potevo sottrarmi alla restituzione di tutto il capitale in denaro, per quanto concerne gli interessi, di solito, dopo averne corrisposta una parte in denaro, bastava avere l’accortezza di arrivare al protesto, dimostrando così una situazione di illiquidità, in presenza della quale gli stessi "finanziatori" si risolvevano a ricevere la restante parte del credito in natura, cioè in quote di società o proprietà immobiliari, anche perché questo li faceva sentire imprenditori».
Esemplare la parabola di Domenico Balducci, noto come "Mimmo er Cravattaro", da ex strozzino di borgata a imprenditore d’assalto e rentier di successo, perfettamente coerente rispetto allo stereotipo del "nuovo" imprenditore mafioso, ma neppure concepibile, al di fuori del réseau degli usurai di Campo de’ Fiori, il cui commercio veniva alimentato dai denari provenienti da organizzazioni mafiose e sodalizi terroristici di destra.
Personaggio singolare, Domenico Balducci: per dirla con Pietro Falchi, suocero di Flavio Carboni, dà mostra «di possedere una potenza economica impressionante» e gioca un ruolo primario sul proscenio dell’affarismo criminale.
Ufficialmente "commerciante di elettrodomestici con modesto negozio nella zona di Campo de’ Fiori, oltre ad intrattenere rapporti con il mafioso Giuseppe Di Cristina, soprannominato "la Tigre", capo della "famiglia" di Riesi, assassinato a Palermo il 30 maggio 1978, ragione per la quale era stato colpito da mandato di cattura emesso dall’autorità giudiziaria di Palermo, er Cravattaro frequenta Tommaso Buscetta e assai più intensamente Giuseppe "Pippo" Calò, sua vecchia conoscenza, avendo i due "convissuto", per un certo tempo, nel carcere dell’Ucciardone. Note le sue relazioni d’affari con Flavio Carboni e col finanziere italo-svizzero Fiorenzo Ravello Ley, le sue frequentazioni con Francesco Pazienza e le consuetudini di quelli «di familiarità e d’incontri» con il dottor Francesco Pompò, dirigente del Commissariato competente per la zona in cui esercitava la sua «modesta attività di venditore d’elettrodomestici». Sebbene latitante ormai da qualche tempo, gode di passaggi di frontiera facilitati, trovandosi a viaggiare anche su aerei della flotta Cai, società di navigazione aerea di copertura del Sismi; si offre per facilitare il trasferimento in ospedale o in clinica del generale Raffaele Giudice, detenuto, in quanto egli stesso afferma essere «legato ad una eccellenza» in Cassazione; su imput di Pazienza, si intromette per far ottenere la libertà al banchiere Roberto Calvi e interviene per procurare allo stesso Calvi una barca per la villeggiatura, subito dopo che questi è uscito dal carcere di Lodi; si attiva, addirittura, per sistemare le pendenze giudiziarie di vittorio Emanuele di Savoia, e anche quelle di Carlo Ponti e Sofia Loren. Luciano Merluzzi, buon conoscitore delle sue faccende, anche private, riferisce, al riguardo: «Dopo la emissione dei mandati di cattura contro Ponti e Loren, pensai di far conoscere a costoro il Balducci, che vantava amicizie autorevoli presso magistrati romani; il Balducci sosteneva che in Tribunale non poteva far niente perché c’erano giovani magistrati, ma che in appello o cassazione poteva fare altre cose; il Balducci ottenne comunque una campagna di stampa favorevole ai coniugi Ponti, grazie ai rapporti che egli aveva con Flavio Carboni (e di costui con l’editore Carlo Caracciolo)». Ottiene dal marchese Guglielmi che gli organizzasse presso un locale alla moda la festa di compleanno della figlia. Insomma, non fa mistero delle sue «conoscenze politiche e di altri ambienti». Cade, tuttavia, sotto il fuoco di alcuni sicari la sera del 16 ottobre 1981, dopo aver partecipato ad un’assemblea dei soci della Cooperativa edilizia Delta, nello studio del ragionier Luciano Merluzzi. La sua uccisione si pone quale tappa fondamentale sulla via della definitiva ed irreversibile spaccatura all’interno della banda della Magliana e, dunque, quale premessa della dissoluzione di questa organizzazione.
Otello Lupacchini