Vittorio Emiliani, l’Unità 16/6/2014, 16 giugno 2014
LE ITALIE DEL CANONE – QUELLI CHE LO PAGANO TUTTI E QUELLI CHE LO EVADONO TUTTI
A Berra e a Portomaggiore nel Ferrarese il canone Rai lo onora oltre il 99% delle famiglie del Comune tenute a pagarlo, cioè molto di più che nella stessa Gran Bretagna così «fedele» a Bbc. In pratica lo evade soltanto una famiglia, forse due, al massimo. Sono dati incredibili e però ufficiali del 2012. All’estremo opposto, in numerosi Comuni del Casertano, fra i quali Casal di Principe, non lo paga il 90% abbondante delle famiglie tenute a versarlo. Sono tante le Italie del canone Rai come della «fedeltà» fiscale e contributiva, o della legalità urbanistica – ma la divaricazione passa soprattutto fra Toscana, Alto Adige, Emilia-Romagna, Liguria, Lazio e Marche da una parte (le regioni cioè che il canone lo versano fra l’80 e 1’84 %) e Campania, Sicilia, Calabria dall’altra (dove il canone lo paga, un utente su 2 o poco più). I capoluoghi di provincia «fedelissimi»? Ferrara (93% di abbonati paganti), Livorno e Siena. Quelli al contrario «infedelissimi»? Napoli, Catania e Palermo (tutti fra 41 e 44% appena di abbonati paganti). Fra l’altro, si evade a tutto spiano laddove si consuma di gran lunga più televisione e, in particolare, televisione di marca Rai.
C’è da poco da scherzare sul canone Rai che qualcuno ricominci a snobbare o a presentare come un «iniquo balzello». In questi ultimi esercizi, con la crisi nera della pubblicità, il canone più basso e più evaso d’Europa (113,7 euro, rimasto inchiodato, chissà perché quest’anno, contro i 264 euro dell’Austria o i 216 della Germania) ha garantito alla Rai di sopravvivere. Se infatti un decennio addietro esso rappresentava poco più del 50% delle entrate aziendali, l’anno scorso, con la pubblicità crollata dal 2000 in qua del 45%, il canone ha superato di molto il 60% degli introiti.
Si sentono o si leggono discorsi molto fumosi sulla Rai. Si sa che Matteo Renzi considera il canone pur venendo dalla regione che vanta con 1’84% il primato nazionale delle «fedeltà» nel rinnovo dell’abbonamento (nella sua Pontassieve addirittura l’89,96 %) – troppo impopolare per poter essere incrementato, anche di poco. O imposto a chi non lo paga con misure anti-evasione (collegandolo ad esempio alla bolletta della luce). Ma in questo modo si continua a premiare chi evade, anche in forma quasi totale, e a punire chi invece versa il dovuto con grande senso civico. E sono, nonostante tutto, quasi 17 milioni di famiglie. Che andrebbero incoraggiate a perseverare, additate ad esempio, e non frustrate.
Attenzione, non è vero che tutto il Nord paga e tutto il Sud evade. È vero che a pagare di più è semmai il Centro più l’Emilia-Romagna, le ex regioni «rosse» (dalla Liguria, alla Toscana, alle Marche) dove l’idea del servizio pubblico radiotelevisivo continua evidentemente ad essere apprezzata e coltivata (magari nella speranza di vedere assai più programmi «di servizio pubblico»). Il Nord, forse anche per la propaganda della Lega Nord volta a dissuadere gli utenti dal versare il canone Rai, non brilla in modo particolare, a parte l’Alto Adige, il Trentino e qualche provincia come Lecco. Milano, ad esempio, la ex «capitale morale» dove la tv pubblica è nata, rimedia una pessima figura rispetto a Roma «ladrona»: nel capoluogo lombardo il canone lo paga meno del 63% degli utenti, mentre nella capitale lo versa 1’84% per cento degli stessi, oltre venti punti percentuali in più. Un autentico smacco. La stessa Torino – quella di via Arsenale 21 – col suo 68% non si segnala di certo. Insomma, dopo aver chiesto all’azienda di Viale Mazzini un «contributo» di 150 milioni di euro quasi fossero bruscolini e non aver aumentato il canone nemmeno di un centesimo, il governo Renzi dovrebbe essere molto cauto nel prendere strade che intacchino quella che è diventata di gran lunga la principale fonte di entrata della radiotelevisione pubblica. Tanto più se la vuole davvero «liberare dai partiti» (e dal governo al quale la incatenò la nefasta legge Gasparri il cui vero autore, Antonio Filati, si dichiara oggi «renziano»...): l’autonomia finanziaria per un servizio pubblico rinnovato che investa di più nei programmi e nei talenti e meno nella spesa corrente, che ridia smalto e spinta alla radiofonia considerata invece una cenerentola, che organizzi meglio i propri palinsesti, che sia affrancato da tutele deprimenti oltre che «pelose», è la prima fondamentale condizione, la pietra miliare, l’architrave o quello che vi pare, al di là di tante dichiarazioni fumose che tendono a presentare in realtà la Rai e il suo canone come «archeologia» o giù di lì.