Luigi Ippolito, CorriereEconomia 16/6/2014, 16 giugno 2014
TOKYO «VINCERE LA DEFLAZIONE? SI PUÒ, DOVETE IMPARARE DA NOI»
Deflazione, debito pubblico, crescita stagnante, invecchiamento della popolazione. Suona familiare? Certamente. Ma è la stessa matassa di problemi che hanno provato a sbrogliare in Giappone, malato cronico fin dagli anni Novanta. La loro ricetta ha un nome: Abenomics , la politica economica lanciata dal premier liberaldemocratico Shinzo Abe all’inizio del 2013, subito dopo il suo insediamento. Una svolta radicale che ha dato la scossa alle performance del sistema nipponico.
Il personaggio incaricato di tradurre in realtà il pacchetto di riforme è Akira Amari, 64 anni, titolare del ministero per la Rivitalizzazione economica, un dicastero creato apposta per coordinare l’implementazione della Abenomics . Discendente da una famiglia di samurai del XVI secolo, è un appassionato di cucina italiana, tanto che sul suo blog recensisce regolarmente le pizzerie della sua circoscrizione elettorale dove ama andare a mangiare.
Nel suo ufficio nel cuore del quartiere governativo di Tokyo, a fianco alla scrivania, si nota subito un tapis roulant rosso. «Me lo ha imposto mia moglie – confida – ma lo avrò usato solo tre volte in due mesi…».
A tenerlo impegnato ci pensa la salute dei conti giapponesi: «Per oltre un decennio abbiamo sofferto di deflazione, un mostro che mina alla base l’intero tessuto dell’economia».
Aggressività
Per domarlo hanno scoccato le prime due delle «tre frecce» – così le chiamano – della Abenomics : una politica monetaria aggressiva e un ambizioso pacchetto di stimolo. Innanzitutto la base monetaria è stata raddoppiata in due anni, passando da 138 trilioni di yen nel 2012 a 270 trilioni nel 2014. «Governo e Banca centrale hanno mandato un messaggio chiaro ai mercati. Il pensiero convenzionale sosteneva che anche se la Banca centrale avesse incrementato la fornitura di danaro questa non sarebbe arrivata ai mercati. Ma l’intervento è stato di un’ampiezza senza precedenti, tale da rovesciare il pensiero convenzionale».
La spinta in Borsa
La seconda freccia ha visto un pacchetto di spesa addizionale di 10 trilioni di yen, utilizzati soprattutto per la ricostruzione delle aree devastate dallo tsunami del 2011 e per la promozione di investimenti privati. I risultati si sono visti rapidamente, in termini di ritorno a una crescita robusta e di impennata degli indici di Borsa.
«Ora non dobbiamo perdere tempo e scoccare la terza freccia, ossia una strategia di crescita sostenibile», spiega Amari. Che significa in prima battuta eliminare gli ostacoli agli investimenti privati. «Per investire le aziende devono poter innovare, quindi introdurremo agevolazioni fiscali per la ricerca e lo sviluppo. Inoltre faciliteremo fiscalmente il taglio dei settori in perdita, perché solo aziende competitive sono in grado di investire».
Un occhio di riguardo va ovviamente agli investimenti stranieri. «Dobbiamo creare un ambiente migliore in Giappone, per cui abbasseremo la corporate tax ed elimineremo l’eccesso di regolamenti». Ma si punta anche a favorire l’arrivo e l’inserimento di manager dall’estero. «Lavoriamo a un ambiente migliore per le loro famiglie, in termini di scuole internazionali, assistenza sanitaria e aiuto domestico». In quest’ottica rientrano i negoziati per un accordo commerciale con l’Unione europea: «Stiamo facendo gli sforzi necessari per riuscire a concludere l’anno prossimo».
Una grande sfida per il Giappone è rappresentata dall’invecchiamento della popolazione, una delle più anziane del mondo. L’obiettivo del governo Abe è quello di estendere l’aspettativa di vita in salute attraverso programmi di ricerca e investimento medico, «così che anche le persone anziane potranno contribuire all’economia e ci saranno meno vecchi in case di riposo e ospedali».
Tassi rosa
Ma la vera rivoluzione culturale della Abenomics riguarda le donne e il loro ingresso in massa nel mercato del lavoro. L’obiettivo dichiarato è innalzare il tasso di attività femminile fra i 25 e i 44 anni dal 68% nel 2012 al 73% nel 2020. Una sfida che richiede un cambiamento sociale e di mentalità in un Paese in cui le donne sono troppo spesso relegate in un ruolo subordinato.
«La questione deve essere affrontata da due lati, quello del governo e quello delle aziende. I datori di lavoro devono consentire alle donne di avanzare nella loro carriera, anche se lasciano temporaneamente il posto per maternità: al loro ritorno devono poter riprendere il sentiero là dove si era interrotto. Da parte sua il governo chiede quote di genere nelle posizioni di vertice e dalle aziende quotate vogliamo i numeri sulla presenza femminile nei consigli d’amministrazione».
L’altro fronte della battaglia per le donne sono le politiche di conciliazione familiare. «Nei prossimi 5 anni creeremo 400 mila nuovi posti negli asili nido, una cifra che eccede quella dell’attuale lista d’attesa. Poi ci occuperemo dei bambini delle elementari, il cui orario scolastico termina prima di quello di lavoro dei genitori: qui prevediamo 300 mila nuovi posti nel doposcuola. Ma soprattutto ci impegneremo a cambiare la mentalità della gente». Il futuro del Giappone, insomma, sembra tingersi di rosa. In tutti i sensi.