Anna Meldolesi, Corriere della Sera 16/6/2014, 16 giugno 2014
LA GENTILEZZA CONTA PIÙ DI FATO E PASSIONE
L’amore è la più inafferrabile delle idee. È la luce bianca delle emozioni, perché racchiude tanti sentimenti in un’unica, piccola parola (Diane Ackerman). È una nebbia che si dissolve ai primi raggi della realtà (Charles Bukowski). Una follia temporanea curabile con il matrimonio (Ambrose Bierce). Romantici e disincantati, ciascuno scelga la sua definizione. Di sicuro vivere insieme felicemente tutta la vita è un impegno che riesce bene a pochi. Lo confermano i dati. Oggi in Italia si contano 311 separazioni e 182 divorzi ogni mille matrimoni, queste cifre nel 1995 erano grosso modo la metà, e comunque non tengono conto delle unioni protratte e infelici. Cosa distingue gli amori che funzionano da quelli che falliscono? Ce lo siamo chiesti tutti, almeno una volta, osservando le alterne fortune delle nostre e delle altrui relazioni. Chi cerca ancora una risposta potrebbe trovarla negli studi decennali di John Gottman e nella parabola del cardellino.
«Tutte le famiglie felici sono simili; ogni famiglia infelice lo è a modo suo», ha scritto Tolstoj. Lo psicologo dell’Università di Washington però la pensa un po’ diversamente. I virtuosi della buona convivenza hanno tutti qualcosa in comune, che ai rimandati e ai bocciati dell’amore manca. Master e Disaster, maestri e disastri, sono le etichette che assegna scherzosamente alle due categorie. Nel suo «laboratorio dell’amore» ne sono passati a migliaia e una buona parte di loro è stata seguita con uno studio longitudinale per anni. Nel 1986 Gottman e il suo collega Robert Levenson hanno iniziato a osservare le interazioni dei neosposi, facendoli parlare del primo incontro, del peggior litigio e del ricordo più bello. Non si sono accontentati delle parole, hanno ascoltato anche il linguaggio del corpo. A volte le persone sembravano tranquille, gli elettrodi però raccontavano un’altra storia. Il cuore pompava forte, il sangue scorreva in fretta, sudavano. Anche quando ricordavano episodi piacevoli, vivevano uno stato di preallarme, come se fossero pronte a essere attaccate e attaccare. E in ogni momento potevano uscirsene fuori con battute sgarbate che rivelavano il nervosismo sommerso. Sono proprio queste le persone che poi, a distanza di tempo, hanno visto le loro unioni naufragare. Una ricerca di Levenson del 2013 suggerisce che quando il matrimonio diventa un terreno di battaglia è soprattutto lo stato d’animo delle donne a determinare se si farà o meno la pace. Altri tasselli del puzzle sono stati sistemati con uno studio avviato nel 1990, in cui 130 coppie fresche di matrimonio sono state osservate in un set sperimentale così ricco da assomigliare a una casa per le vacanze. I ricercatori li hanno osservati mentre cucinavano, parlavano, passavano il tempo. Ed è qui che Gottman ha messo a fuoco il segreto dell’amore durevole, secondo il resoconto affidato all’ultimo numero della rivista The Atlantic . Immaginate un marito appassionato di bird watching, l’osservazione degli uccelli. Vede un cardellino che attraversa in volo il cortile e chiama la moglie. «Guarda che bello!». Lei può correre alla finestra e condividere quell’emozione. Oppure può limitarsi ad annuire distrattamente. La scena, naturalmente, può presentarsi anche al contrario: lei chiama lui, magari per dirgli che ha ricevuto una bella notizia; lui può cogliere o lasciar fuggire via l’attimo. Per coltivare un amore bisogna saper stare insieme nella cattiva sorte, ma anche in quella buona. Quello che conta non è l’uccellino, e anche la lieta novella può essere più o meno importante. C’è in gioco altro: la disponibilità a prestare attenzione a chi abbiamo di fianco, a condividere i suoi stati d’animo. Far cadere le «offerte di interazione» è come un veleno distillato quotidianamente alla felicità coniugale. Sei anni dopo l’esperimento, lo psicologo e i suoi colleghi hanno scoperto che a divorziare erano state le coppie in cui questi piccoli bisogni emozionali del partner erano stati soddisfatti solo tre volte su dieci nel periodo di osservazione. Le coppie che avevano retto, invece, avevano superato la prova nove volte su dieci. Lo spartiacque tra Master e Disaster, insomma, non è segnato dalle fiamme della passione, né dalla magia rara di un incontro predestinato. La differenza la fanno la generosità e, soprattutto, la gentilezza. Gentili ed empatici forse in parte si nasce, ma soprattutto lo si diventa allenandosi a vedere la parte migliore dell’altro e a essere dei buoni compagni di vita. È questa l’arte dei Master.
Non arriva a conclusioni molto diverse Ty Tashiro, autore del libro «The science of happily ever after», ovvero la scienza del vissero tutti felici e contenti. Lo psicologo di New York si concentra sul momento della scelta del partner e sostiene che l’amore assomiglia alla lampada di Aladino: non possiamo sperare che soddisfi più di tre desideri. Chi va alla ricerca di un partner dotato di molti talenti è statisticamente destinato alla frustrazione. Essere particolarmente attraenti non migliora, anzi può peggiorare, le chance di felicità coniugale. La ricchezza aiuta, ma oltre la soglia dei settantacinquemila dollari l’anno è ininfluente. L’unica caratteristica che sembra alzare le probabilità di successo di un’unione è quel tratto della personalità che viene chiamato amicalità, sostiene Tashiro. È il buon carattere del linguaggio comune ed è probabile che aiuti a superare anche la «prova del cardellino».