Antonio Socci, Libero 15/6/2014, 15 giugno 2014
A CACCIA DEL PARADISO SU UN CAMPO DI CALICO
La febbre planetaria dei Mondiali di calcio è un fenomeno che nessuno sa spiegare.
Il banale conformista celebrerà l’evento come la solita festa della fraternità, con la retorica dell’agonismo leale, del dialogo fra i popoli, contro il razzismo e la guerra (tutti gli slogan grigi del politically correct).
Il moralista col birignao che è l’altra faccia del banale conformista e a volte pure la stessa persona lamenterà la superficialità di un mondo che con tutti i problemi che ha impazzisce per il calcio, poi dirà che il calcio è l’oppio dei popoli e s’indignerà per tutti i miliardi spesi mentre la gente (pure in Brasile) muore di fame.
Tutto vero, ma anche tutto ovvio, noioso e superficiale.
Però, grazie al Cielo, nel mondo accade a volte il miracolo, accade che ci sia qualche vero poeta o perfino un profeta, un genio di quelli che vedono la profondità delle cose e colgono l’oceano nella goccia d’acqua e l’eterno nell’istante.
Uno di questi rari uomini liberi è Joseph Ratzinger, fino a pochi mesi fa Sommo Pontefice della Chiesa Cattolica e oggi umile mendicante dell’infinito, orante pellegrino della Bellezza. Ecco lui è uno di quei rari profeti che i popoli dovrebbero andare a cercare alla maniera del Profeta di Gibran.
A questo personaggio, nel poema omonimo, rivolgevano le domande della vita: cosa è l’amore o l’amicizia e cosa sono i figli.
A uno così potreste chiedere cosa è il gioco o questa passione planetaria per il calcio sicuri di non ottenere risposte banali, ma vere e proprie folgorazioni, suggestioni che ti fanno stupire ed emozionare.
Infatti qualche anno fa Ratzinger ha scritto pagine stupefacenti sul calcio. Ma sapete dove? Ha fatto una vera e propria teologia del calcio in un libro intitolato Cercate le cose di lassù.
Vi direte: e che c’entra una partita di calcio col Paradiso? C’entra enormemente. Non sottovalutate il gioco, perché il gioco è una cosa molto seria, come sanno i bambini. E come sanno gli antropologi e i filosofi.
Per i bambini il gioco è il modo per conoscere il mondo. Ma ai grandi fa conoscere se stessi. Proprio come consigliava Socrate in quella che fu-non a caso-la culla del pensiero filosofico e dello sport (cioè delle Olimpiadi).
Ratzinger notava che se ogni quattro anni l’evento dei Mondiali riesce a catalizzare l’attenzione e gli entusiasmi di tutto il pianeta significa che «tocca un qualche elemento primordiale dell’umanità».
Perciò non si può snobbare con disprezzo come panem et circenses, come lo svago «di una società decadente che non ha altri obiettivi più elevati». Anzi, Ratzinger rovescia questa logica moralistica chiedendosi proprio qual è il fascino di un gioco (circenses) che viene messo sullo stesso
piano del pane. Dice: «Si potrebbe rispondere, facendo ancora riferimento alla Roma antica, che la richiesta di pane e gioco era in realtà l’espressione del desiderio di una vita paradisiaca, di una vita di sazietà senza affanni e di una libertà appagata».
Infatti il gioco in fondo è questo, «un’azione completamente libera, senza scopo e senza costrizione, che al tempo stesso impegna e occupa tutte le forze dell’uomo. In questo senso il gioco sarebbe una sorta di tentato ritorno al Paradiso: l’evasione dalla serietà schiavizzante della vita quotidiana e della necessità di guadagnarsi il pane, per vivere la libera serietà di ciò che non è obbligatorio e perciò è bello».
Dunque ciò che vi cerchiamo è «più che un po’ di divertimento», è un mondo dove «l’uomo non vive di solo pane, il mondo del pane è solo il preludio della vera umanità, del mondo della libertà».
Ratzinger sottolinea altri due elementi preziosi contenuti nel calcio, che sono identici all’avventura cristiana verso Dio, cioè la necessità del sacrificio in vista di una conquista («il calcio costringe l’uomo a imporsi una disciplina in modo da ottenere con l’allenamento, la padronanza di sé; con la padronanza, la superiorità e con la superiorità, la libertà») e il «noi» dove si realizza la felicità dell’io («il calcio insegna soprattutto un disciplinato affiatamento: in quanto gioco di squadra costringe all’inserimento del singolo nella squadra. Unisce i giocatori con un obiettivo comune»).
In sostanza, per Ratzinger, questo gioco ci attrae perché lo viviamo come «l’esercitazione alla vita e il superamento della vita in direzione del paradiso perduto».
È il rovesciamento del moralismo. È come se dicesse: guardate che, senza rendervene conto, perfino divertendovi a una partita della Nazionale in realtà con la bandiera della patria cercate la Patria perduta, cercate il Paradiso, cercate Dio.
Anche Leopardi nello Zibaldone nota che l’uomo è tutto teso al «piacere, ossia alla felicità», ma è evidente a tutti l’«insufficienza di tutti i piaceri a riempirci l’animo», da qui «la tendenza nostra verso un infinito che non comprendiamo» perché «quando l’anima desidera una cosa piacevole, desidera la soddisfazione di un suo desiderio infinito, desidera veramente “il” piacere e non un tal piacere».
Infatti come notava sant’Agostino (che aveva ampiamente esperito tutti i piaceri del mondo) il Creatore ha fatto il nostro cuore così inquieto e insoddisfatto da potersi appagare solo in Lui. Non è proprio «sommo piacere» il nome che Dante dà a Dio nel Paradiso?
Gli uomini, senza rendersene conto cercano Dio nei modi più disparati e più disperati.
Alla banalità diffusa che considera la religione come un surrogato dell’istinto sessuale, il grande Bruce Marshall rispondeva rovesciando i termini della questione. E faceva dire, acutamente, a un personaggio di un suo romanzo: «Io preferisco pensare che l’istinto sessuale sia un surrogato della religione e che il giovanotto che suona il campanello per cercare un postribolo, stia cercando Dio senza saperlo».
La provocazione è molto più profonda di quanto si creda. Basterebbe confrontare la convulsa e opprimente ripetitività della letteratura erotica che replica un piacere sempre insoddisfacente e fugace nelle cose morenti, con le folgoranti pagine dei mistici che raccontano una felicità infinita e indescrivibile, un godimento senza limiti nell’estasi che fa desiderare di lasciare subito questa terra di dolore.
Parlava spesso di questa ricerca spasmodica di Dio il grande convertito Olivier Clément. E ne parlava proprio a proposito della moderna maniacale erotomania e a proposito della droga come fenomeno di massa.
Infatti la droga stessa spiegava lo stesso Ratzinger in una conferenza non è la ricerca, sia pure folle e autolesionista, dell’estasi? Non è una fuga dalla prigione grigia del quotidiano verso un’illusione di piacere senza limiti? Non è la promessa, falsa, di un viaggio verso la libertà assoluta?
Anche il mito del viaggio contiene questa nostalgia della Meta assoluta. L’autore di On the road, ispiratore della Beat generation, Jack Kerouac scriveva: «La vita non è abbastanza. Allora cosa voglio? Voglio una decisione per l’eternità, qualcosa da scegliere e da cui non mi allontanerò mai [...]. Qui sulla terra non c’è abbastanza da desiderare».
È per questo che alla fine Kerouac ha riscoperto il cattolicesimo della giovinezza. La vera avventura. Roba per uomini liberi e per uomini veri. Che amano godersi e vincere la grande partita della Vita.