14 giugno 2014
La ramazza renziana ha spazzato via dalla sua poltrona il sindaco di Venezia. Ma il semplice fatto che Giorgio Orsoni abbia potuto anche solo pensare di restarci, dopo aver patteggiato una pena a quattro mesi di reclusione per illecito finanziamento, ci fa chiedere come ci sia arrivato su quella poltrona
La ramazza renziana ha spazzato via dalla sua poltrona il sindaco di Venezia. Ma il semplice fatto che Giorgio Orsoni abbia potuto anche solo pensare di restarci, dopo aver patteggiato una pena a quattro mesi di reclusione per illecito finanziamento, ci fa chiedere come ci sia arrivato su quella poltrona. Per come l’ha ricostruita lui stesso, sembra la storia di un sindaco a sua insaputa. Dal punto di vista del potere reale, il vero sindaco di Venezia era infatti il Mazzacurati, patron del Consorzio Venezia nuova, una cosa a metà tra l’Azione parallela e una Cassa depositi e prestiti per politici bisognosi (il sindaco finto, con devozione, chiamava il sindaco vero, che aveva appena ottenuto 230 milioni dal Cipe, e implorava: «Non è che in quei milioni ci sia qualche spazio?»). Per quanto si dichiari un colpevole non informato dei fatti, da un punto di vista politico Orsoni ha tradito la fiducia dei veneziani: l’avevano preferito a Brunetta, e invece lui non era all’altezza. Però il nuovo Pd renziano non può credere di poter vendere la pelle dell’Orsoni prima di aver ucciso la bestia che lo manovrava come un burattino, la macchina da soldi dei Democratici che mandava il povero finto sindaco in giro per Venezia col cappello in mano. «Le pressioni per avere soldi si sono fatte sempre più forti, quasi esclusivamente da parte di esponenti del Pd — racconta Orsoni ai magistrati per tornare libero — il segretario Mognato (all’epoca segretario provinciale), e poi attorno c’erano un po’ tutti, in particolare Zoggia (allora presidente della Provincia) e tanti altri minori della segreteria». E lo sventurato rispose: «Pur ponendomi problemi di opportunità accettai che il finanziatore fosse Mazzacurati, quindi lo sollecitai». Dunque «Orsoni — scrivono i pm — si è prestato, non opponendosi, a una strategia di finanziamento occulto elaborata dai vertici del partito». Dunque il problema è il partito e il suo sistema di finanziamento. E invece la nota con cui Debora Serracchiani, vicesegretario nazionale del Pd, ha licenziato Orsoni, trasuda ipocrisia. Si dichiara «umanamente dispiaciuta della condizione in cui si trova Orsoni», come se fosse una malattia, un accidente, un lutto. «Ma dopo quanto è accaduto ieri abbiamo maturato la convinzione che non ci siano più le condizioni perché prosegua nel suo mandato di sindaco di Venezia». Siccome «quanto è accaduto ieri» è che Orsoni ha confessato ciò che i vertici del partito gli hanno fatto fare nel passato, di che cosa veramente il Pd accusa Orsoni: di averlo fatto o di averlo detto? E, soprattutto, ora che succede a tutti quelli che gli hanno detto di farlo? Antonio Polito