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 2014  giugno 13 Venerdì calendario

IL NUOVO ESODO


Parigi. La diaspora degli ebrei francesi verso Israele è aumentata in modo spettacolare negli ultimi mesi. Se nel 2012 sono state 1.907 le persone che hanno deciso di fare la aliyah, il pellegrinaggio a Gerusalemme, l’anno successivo in 3.280 si sono avvalsi delle facilitazioni offerte dall’Agenzia Ebraica per trasferirsi in Israele.
Solo nel primo trimestre del 2014, il numero è già cresciuto del 70 per cento. Sono cifre che ormai superano quelle registrate negli Stati Uniti, dichiara Natan Sharansky, a suo tempo un refuznik (un cittadino dell’Unione Sovietica che non aveva permesso di espatrio) figura di spicco della dissidenza in Urss, e oggi presidente dell’Agenzia ebraica per Israele. Vittime della violenza di strada in aumento, detestati in certi ambienti giornalistici e intellettuali... Mentre si assiste alla banalizzazione della Shoah e a un antisemitismo antisistema. La situazione degli ebrei francesi sta peggiorando negli ultimi tempi, come denunciano i responsabili di una comunità che conta mezzo milione di persone ed è la più numerosa d’Europa.
«Non è molto piacevole essere ebreo in Francia, oggi». Questa frase, pronunciata in inglese nel consolato francese di New York due settimane fa, è valsa al suo autore, Roger Cukierman, aspre critiche nel suo Paese, sia da destra che da sinistra. Cukierman è, dal 2013, presidente del Crif, il Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche di Francia nonché vicepresidente del Congresso ebraico mondiale.
In una conversazione telefonica, ribadisce le tre principali minacce che la comunità ebraica francese si trova davanti: «La popolarità crescente del Front National, la radicalizzazione dei musulmani francesi e l’ostilità dell’estrema sinistra antisemita». Il presidente del Crif sottolinea che il 40 per cento dei «reati di violenza per motivi di odio» ha per oggetto dei cittadini ebrei. «Oggi è impensabile» dice per fare un esempio «che una persona possa viaggiare in metro con la kippah». Sacha Rein gerwirtz, avvocato di 27 anni, presidente dell’Unione degli studenti ebrei di Francia (Uejf ), conferma il fenomeno crescente dell’antisemitismo, anche se specifica che il timore di violenze varia da città a città, da un quartiere all’altro, a seconda delle università. Triste consolazione.
Ricerca di un futuro migliore e fuga da una situazione di insicurezza. I motivi per spiegare il ritorno in Israele sono anche quelli esposti dal direttore dell’Agenzia ebraica in Francia. Anche Ariel Kandel, tuttavia, insiste sul «clima» di antisemitismo che si respira oggi in Francia. «Sottolineo questo fatto del clima» dice «perché la Francia ha vissuto episodi gravi di antisemitismo, come gli attentati di Rue des Rosiers (1982) e di Rue Copernic (1980), a Parigi, o gli omicidi di Tolosa, nel 2012. Quello che voglio descrivere è il clima di un antisemitismo che va di moda; un antisemitismo antisistema che si allarga, stimolato, tra gli altri, dagli spettacoli e dalle dichiarazioni di comici come Dieudonné M’bala».
Ariel Kandel, in quanto responsabile dell’Agenzia ebraica in Francia, non può nascondere una certa soddisfazione rispetto alle cifre della alyah durante la sua gestione e segnala che un quarto dei francesi che si sono trasferiti in Israele di recente sono giovani tra i 17 e i 30 anni. Il governo di Benjamin Netanyahu avrebbe un particolare interesse ad attirare il maggior numero di ebrei francesi e per questo l’Agenzia starebbe lavorando per la convalida degli esami universitari e di alcune professioni. Nel periodo 2014-2017, dice Kandel, Israele prevede di attirare dalla Francia tra le tremila e le quattromila persone l’anno.
La presidenza di François Hollande fa il possibile per frenare il sentimento di ostilità verso i cittadini appartenenti alla comunità ebraica. Cukierman ha apprezzato l’assimilazione tra antisemitismo e antisionismo che Hollande ha fatto in pubblico recentemente. Mentre il premier Manuel Valls non ha avuto dubbi (e non solo perché sua moglie è ebrea) nel condannare l’antisemitismo. Questo gli è valso l’accusa di essere «il primo sionista di Francia» da certi settori dell’ultradestra vicini al solito Dieudonné M’bala e ad Alain Soral, blogger e saggista «antitutto» (semitismo, femminismo, omosessuali...).
In Francia, si cerca di rassicurare, non esisterebbe dunque un antisemitismo istituzionalizzato come negli anni Trenta e Quaranta, ma i rappresentanti della comunità ebraica esprimono un certo stupore per l’indifferenza della gente di fronte agli attacchi e alle minacce subite dai connazionali ebrei. Ariel Kandel insiste su questa differenza tra il positivo interesse delle istituzioni e la scarsa risposta della società civile.
Che gli spettacoli di un presunto comico antiebreo riempiano i teatri, che nella capitale francese migliaia di persone gridino in una manifestazione slogan e minacce contro gli ebrei, che la figura dell’ebreo continui a essere associata al cliché della ricchezza, che l’ebreo, insomma, torni ad essere il capro espiatorio della crisi economica, sono sintomi che non preoccupano la maggioranza della popolazione francese.
Per un osservatore straniero, è quanto meno scioccante che l’omicidio di bambini ebrei da parte di Mohamed Merah a Tolosa, abbia ricevuto il plauso di certi settori che continuano a giustificare il terrorismo in nome del jihad o della lotta per i diritti dei palestinesi. Né suscitarono molta solidarietà pubblica il sequestro, la tortura e l’omicidio del giovane ebreo Ilam Halimi, nel 2006, vittima di una banda di banlieue, guidata dal figlio di una coppia di emigrati africani, il quale scelse la sua vittima con l’intelligente ragionamento che Halimi doveva essere ricco perché era ebreo. Un film uscito da poco su questo caso (24 jours, di Alexandre Arcady) ha sollevato molte polemiche grazie a un famoso ospite di talk-show televisivi, facente parte di certo giornalismo di sinistra impantanato in cliché antiebraici.
In questo clima di antisemitismo a bassa intensità si inserisce anche un altro film, l’opportunista Welcome to New York, dello statunitense Abel Ferrara, ispirato alle traversie sessuali di Dominique Strauss-Kahn. Il film, presentato al Festival di Cannes, è stato accusato di antisemitismo da una parte della critica. In sostanza, Ferrara cadrebbe nell’antisemitismo più volgare quando fa comparire sullo schermo l’ex-moglie di DSK, la giornalista Anne Sinclair, facendo riferimento alla figura del padre di lei, Paul Rosemberg, mercante d’arte di Picasso, Braque e Matisse.
Anne Sinclair, che oggi dirige l’Huffington Post francese, ha dichiarato che dover parlare di suo padre, depredato dai nazisti, privato della nazionalità, esponente della resistenza francese, per difenderlo dalle insinuazioni del film, è una cosa che non avrebbe mai pensato di dover fare nel 2014.
Ma secondo altre opinioni, la giudeofobia in Francia è nutrita anche dall’associazione ricorrente tra comunità ebraica e governo di Israele. Che le intifade trasmesse in televisione abbiano creato un ambiente ostile nei confronti di Israele è un fatto. Che la stampa francese, in generale, si possa considerare pro-palestinese è evidente a chiunque abbia vissuto in questo Paese senza coprirsi gli occhi e le orecchie negli ultimi anni. Gli ebrei, e non solo loro, chiamano l’agenzia di stampa statale France Press (Afp) Agence France Palestine.
Esprimere in pubblico un’opinione favorevole a Israele, pur essendo critici con il suo governo, è dar prova di notevole coraggio. Il filosofo Alain Finkielkraut lo può testimoniare. Candidato con successo all’Académie française, Finkielkraut ha dovuto subire l’opposizione di alcuni accademici o accademiche pro-palestinesi, come la scrittrice Danièle Sallenave, che non poteva accettare che un difensore dello Stato di Israele entrasse a far parte dell’istituzione fondata da Richelieu nel 1635.
Finkielkraut, francese figlio di ebrei polacchi, denuncia da tempo a modo suo questo atteggiamento esistente in Francia: «Si sta creando contro Israele e contro chi è legato a questo Paese un antisemitismo temibile, perché usa il linguaggio dell’antirazzismo». L’accademico e altri intellettuali considerati neo-reazionari denunciano l’antirazzismo come una nuova religione usata per screditare qualsiasi atteggiamento politicamente «non corretto».
Ne sono un esempio la denuncia e il processo che pesano su Arno Klarsfeld, figlio di Serge e Beate Klarsfeld, i più noti cacciatori di nazisti di Francia e d’Europa. La sua colpa? Arno ha dichiarato alla rete televisiva I-Télé che «la Francia non è un Paese antisemita; c’è un nucleo duro di estrema destra che lo è chiaramente; e anche una parte dell’estrema sinistra; gli estremisti islamici, ovviamente; e una parte dei giovani delle banlieue». Parlare dell’estremismo islamico rampante nei quartieri abitati da cittadini arabi, da francesi di origine araba o da cittadini di religione musulmana continua a essere un tabù per cui si può finire sotto processo. In ogni caso, il francese Mehdi Nemmouche, autore dell’attentato al Museo ebraico di Bruxelles è un perfetto esempio del contagio antiebraico nelle banlieue francesi.
La Francia è un Paese antisemita? Nessuno osa affermarlo categoricamente. Ma altre voci mettono in allarme sulla liberazione del discorso giudeofobo, che ha attivato nel subconscio nazionale sentimenti che si ritenevano sepolti per sempre.