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 2014  giugno 13 Venerdì calendario

NELLA TELA DI BLACKROCK


Otto e quindici del mattino, ora di New York. Al quarto piano di un edificio di Manhattan compreso tra due avenue di grido come la Madison e la Park, una pattuglia di manager armati di tazze di caffè si riunisce attorno a un tavolo ovale. Uno schermo a cristalli liquidi si accende e compaiono tante piccole caselle: sfilano gli sfondi di Londra, San Francisco, Tokyo, Hong Kong. Più di una dozzina di uffici-satellite si connettono in videoconferenza per analizzare l’impatto delle principali notizie economiche e politiche della giornata su valute, petrolio, titoli e mercati. Le risposte dai diversi angoli del globo possono durare al massimo 45 secondi: il giro del mondo in un quarto d’ora.
Con questo rito quotidiano comincia la giornata nel quartier generale di Blackrock, la più grande società di investimento al mondo, capace di spostare masse di milioni di dollari con un clic. Una sorta di esploratore del mercato che, quando suona la carica, viene seguito a ruota dagli altri investitori internazionali, ma anche un interlocutore strategico di governi e autorità. Blackrock oggi è fra i primi azionisti di colossi come Google, Apple o Chevron, con un patrimonio gestito globale che, a marzo 2014, ammontava a 4.400 miliardi di dollari, più del doppio del debito pubblico italiano. Al timone di questo panzer della finanza mondiale ci sono il presidente Robert Kapito e l’amministratore delegato Larry Fink, uno dei consiglieri più ascoltati in politica economica dal presidente americano Barack Obama.
I due manager sono oggi delle vere star per le nuove leve di Wall Street o della City londinese, che un tempo bramavano una scrivania in banche d’affari come Goldman Sachs o Lehman Brothers. Non è un caso se la rivista “Fortune” nel 2013 ha assegnato a Blackrock il titolo di società «più ammirata del mondo» nel settore del risparmio gestito. I circa 11.200 dipendenti sparsi in trenta nazioni hanno un’età media di trentatré anni e uno stipendio medio che dopo, cinque anni di lavoro, si aggira attorno 115 mila dollari l’anno, più alto di quello dei concorrenti. Invidiatissimi nella tribù finanziaria, sono assai ricercati anche da chi è in caccia di un buon partito da sposare. Secondo Hinge, social network americano di appuntamenti, i golden boy di Blackrock sono infatti fra i più cliccati dalle ragazze in cerca di fidanzati rampanti.
Entrare a far parte della squadra, però, non è facile. Ogni anno Glassdoor.com, un sito molto cliccato negli Stati Uniti dove chi lavora può raccontare in forma anonima la propria esperienza, stila una classifica delle 25 società americane con i colloqui più difficili da superare: nel 2013 Blackrock si è piazzata al diciassettesimo posto. Sul sito compaiono anche alcune testimonianze sulle domande cui hanno dovuto rispondere i candidati: da «Come investiresti un miliardo di dollari?» a «Quanti diamanti da un carato servono per riempire questa stanza?». Un anonimo del Delaware racconta di lavorare in Blackrock da otto anni e regala un suggerimento: «È facile per un soldato sentirsi un patriota durante la battaglia. Ma deve essere capace di sentirsi allo stesso modo anche quando pela le patate». In sostanza: se sei bravo a gestire le piccole sfide quotidiane e non solo le operazioni d’alta finanza, questo è il posto giusto per te.
Eppure Blackrock deve fare anche i conti con una certa immagine da “lupo di Wall Street”, costruita attorno ai protagonisti della finanza Usa dopo la crisi del 2008. Certo, quando si muove la “roccia nera” fa rumore. Anche in Italia, dove oggi è il primo investitore estero e il secondo in assoluto dietro lo Stato, con circa 20 miliardi di euro di partecipazioni, il doppio di dodici mesi fa (vedi figura qui sotto). Non è un caso se quest’anno ha scelto la Borsa di Milano per riunire i suoi 150 top manager. E se, durante la trasferta, Fink ha incontrato il premier Matteo Renzi. Gli addetti ai lavori, e anche Renzi, vedono l’interesse di Blackrock per l’Italia come una benedizione, altri invece come un’invasione. Soprattutto i cultori del complotto, quelli per cui l’investitore straniero è uno speculatore per definizione.
A Milano Fink ha voluto vedere anche il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, che in passato gli ha mosso più di una contestazione. Come nel caso di Saipem: lo scorso 3 gennaio la Commissione ha avviato un procedimento civile nei confronti del responsabile del team azionario europeo di Blackrock per la vendita del 2,2 per cento di Saipem, realizzata a ridosso dell’allarme sull’andamento dei risultati lanciato a gennaio 2013. Le vendite secondo la Consob partirono infatti prima di quando è stato dichiarato. «Blackrock», si legge nel bilancio 2013 della società americana, «ha condotto un’indagine approfondita e non ha trovato prove a sostegno delle accuse. Ha pienamente cooperato con Consob, e continuerà a farlo».
L’alone di mistero, e di sospetto, è anche alimentato dall’esenzione prevista dalle normative per i fondi, che permette loro di non dichiarare le quote inferiori al 5 per cento conquistate nel capitale di molte società tricolori. Ma la strategia è di mercato, assicurano dal gruppo Usa. Che di mestiere fa il gestore di investimenti, ovvero raccoglie il denaro di tutta una serie di investitori, anche piccoli, e lo impiega in diversi modi. I clienti di Blackrock investono per più di due terzi in gestioni cosiddette “passive”: ovvero il cliente (un gestore, una famiglia o un altro fondo) compra i cosiddetti fondi Etf, che non fanno altro che replicare i titoli che compongono i principali indici. L’altro terzo di attività di investimento ha invece natura attiva e viene svolto da gestori localizzati in varie città del mondo che devono selezionare le aziende.
Non solo. Blackrock dispone di una piattaforma tecnologica battezzata Aladdin, acronimo di “Asset liability and debt derivatives investment network”. Il computer-genio traduce i dati di mercato in scelte d’investimento per 170 fondi pensione di tutto il pianeta, fondi sovrani e banche. Vi si appoggiano oltre 200 operatori, generando transazioni miliardarie. Secondo il settimanale “The Economist”, Aladdin rischia di creare una sorta di pensiero unico che può condizionare i mercati e impattare sulle politiche di interi Stati.
Entrare in questa rete è oggi l’obiettivo di tutti quei giovani laureati o manager a inizio carriera che, da grandi, vogliono diventare come Larry Fink, californiano classe 1952, famiglia ebrea, madre professoressa di inglese, padre titolare di un negozio di scarpe. Arriva nel 1976 a New York con in tasca un Master in Business Administration dell’University of California e al fianco l’ex fidanzatina del liceo, Lori, con cui ha avuto tre figli ed è sposato tuttora. Nel 1988 crea Blackrock da una costola di un altro fondo d’investimento, Blackstone, insieme all’attuale presidente Kapito, plurimedagliato in quanto a prestigio universitario, avendo frequentato Harvard e Wharton. La società cresce, ingloba Merrill Lynch Investment Managers nel 2006 e poi Barclays Global Investors (entrambe le banche sono fra i principali azionisti). La fortuna è stata essere al posto giusto al momento giusto, crescendo per acquisizioni quando esplodeva la moda dei gestori professionali e affiancando il governo Usa nelle operazioni di vendita di Bear Stearns e nel salvataggio di AIG.
Per la rivista “Forbes”, Fink è il 42° uomo più influente al mondo, in grado di orientare le decisioni di industrie e governi, tutti suoi clienti. Nel 2010 un articolo su “Vanity Fair” lo definiva «il più importante personaggio della finanza mondiale» e, nonostante questo, «uno sconosciuto a Manhattan», dove vive in un appartamento sull’Upper East Side. Calmo, riflessivo, in apparenza il contrario dell’archetipo della finanza anni Ottanta. Ma «quando la crisi colpisce, la maggior parte dei leader mondiali alza il telefono e chiama Fink», ha scritto il “Financial Times”.
Nel 2013 ha incassato un compenso di 22,9 milioni di dollari, mentre Kapito si è staccato un assegno da 17,6 milioni di dollari. I due hanno stili di leadership diversi: Fink è in ufficio alle 5.30 tutte le mattine e passa in aereo più di 200 giorni l’anno. Spende gran parte del tempo al telefono con primi ministri, clienti importanti e autorità dei singoli Stati. Kapito si occupa delle operazioni giorno per giorno ed è il custode della cultura aziendale, ispirata al concetto che gli americani chiamano del “window and mirror”: se fai bene, tutta la squadra deve mostrarsi alla finestra per godersi il successo; se fai male, devi guardarti allo specchio e capire dove hai sbagliato.
Del consiglio di amministrazione fanno parte anche il co-presidente Charlie Hallac, l’architetto di Aladdin, e Ben Golub, capo dell’ufficio rischi, che ha tre dottorati alla Mit Sloan School of Management. Ci sono poi manager che vengono da altre esperienze, come Ivan Seidenberg, arrivato dal colosso americano delle telecomunicazioni Verizon, e l’italiano Fabrizio Freda, che ha guidato il gruppo dei cosmetici francese Estée Lauder. Non mancano le quote rosa: nel board siedono l’ex braccio destro di Fink, Susan Wagner, e Barbara Novick, che tiene le relazioni con i rappresentanti dei diversi governi.
Ad aprile Blackrock ha cominciato a porre le basi per un cambio soft ai vertici, preparandosi a una futura uscita di Fink. Il piano di successione punta a individuare una generazione di manager esecutivi più giovani. Come Rob Goldstein, oggi capo del business dei clienti istituzionali, e Mark McCombe, presidente di Blackrock in Asia. La panchina è pronta e la “messa” delle otto di mattina, in diretta con il mondo, può continuare.