Massimo Gaggi, Corriere della Sera 13/6/2014, 13 giugno 2014
QUANDO LA MERITOCRAZIA DIVENTA UN PROBLEMA
La meritocrazia è spesso un miraggio in un Paese che per troppi anni ha selezionato la sua classe dirigente più sulla base delle conoscenze e dei rapporti sociali che sulla misurazione delle capacità oggettive da ottenere con appositi test. Ma a volte anche negli Usa, patria della meritocrazia, selezionare i candidati solo sulla base di un esame crea tensioni sociali. Se ne sta rendendo conto Bill de Blasio che per il solo fatto di aver auspicato una riforma dei criteri di ammissione agli otto licei pubblici di eccellenza di New York viene accusato dai conservatori di voler attuare una politica razzista al contrario: una discriminazione nei confronti dei ragazzi di origine asiatica per favorire neri ed ispanici. La questione è assai delicata e non nuova: per evitare scelte discrezionali a favore di un ragazzo o di una comunità rispetto ad altre, da quarant’anni una legge dello Stato di New York impone che le ammissioni ai licei di eccellenza — da Stuyvesant a Bronx Science, da quali sono usciti molti premi Nobel — vengano decise solo sulla base del risultato di un test scritto severissimo. Il problema è che i figli degli immigrati dall’Asia, più studiosi e competitivi della media, fanno da anni la parte del leone nelle selezioni: anche l’anno scorso i figli di famiglie venute dalla Cina dall’India e da altri Paesi dell’Estremo Oriente hanno ottenuto il 53% dei posti disponibili mentre gli studenti bianchi arrivano a malapena a riempire un quarto delle classi. Ma i guai veri arrivano con neri e ispanici che hanno ottenuto rispettivamente il 5 e il 7% dei posti disponibili, nonostante le due comunità, insieme, rappresentino il 70% della popolazione scolastica nel sistema pubblico di New York. Da tempo queste comunità e i loro rappresentanti in Parlamento rumoreggiano: non mettono in discussione la serietà dei test, ma sostengono che uno studente non può essere giudicato solo sulla base di un freddo esame numerico e aggiungono che i criteri fin qui utilizzati, per quanto oggettivi, finiscono per perpetuare le diseguaglianze sociali: gli studenti delle comunità più povere non ce la fanno anche quando sarebbero potenzialmente meritevoli perché spesso hanno frequentato scuole elementari e medie di bassa qualità e perché le loro famiglie non hanno i soldi per pagare tutor capaci di allenarli in vista dell’esame.
Da un punto di vista sociale un riequilibrio sarebbe auspicabile, ma come attuarlo? Le proposte di legge presentate da alcuni parlamentari ad Albany, sede del parlamento dello Stato di New York si sono tirate dietro un mare di critiche: l’introduzione, a fianco dell’esame, di una serie di altri parametri di valutazione che possono anche avere una loro validità, ma aprono la porta a scelte discrezionali da parte della pubblica amministrazione. «Questa è una logica antiamericana», tuonano i giornali della destra conservatrice che sono per il mantenimento della meritocrazia allo stato puro, anche se costruita su una società sempre più diseguale. De Blasio, eletto soprattutto grazie al voto delle minoranze etniche, vorrebbe cambiare una situazione nella quale la discriminazione, anziché da leggi o comportamenti sociali, viene dalla polarizzazione dei redditi. Ma la via imboccata ad Albany non sembra convincerlo del tutto: finora non è sceso apertamente in campo a favore della nuova legge.