Sergio Romano, Corriere della Sera 13/6/2014, 13 giugno 2014
TUTTI POSSONO CHIEDERE CHE COSA SUCCEDE IN ITALIA
Mi colpisce lo straordinario interesse di un lettore svizzero per le nostre vicende italiane. Me ne compiaccio, ma non ne comprendo il motivo. Forse in Svizzera non vi sono sufficienti argomenti interni di pubblico interesse e dibattito e occorre ricercarli all’esterno? O forse, più semplicemente, le nostre sono così affascinanti da soddisfare meglio la curiosità tipica di una cultura che è a noi solo geograficamente vicina? Non mi stupisce solo l’interesse quanto il giudizio che il lettore straniero, neppure tanto velatamente, esprime. Non perché non sia corretto, unicamente perché sempre ho creduto che solo coloro che non hanno mai commesso peccati possano scagliare, per primi, le proprie pietre. E, a ben guardare, i nostri amati vicini elvetici forse anche loro qualche peccato, piccolo piccolo, ce l’hanno. Il primo, in tema di etica e moralità pubblica, è che il loro sistema bancario, avvallato e tutelato da leggi federali, ha consentito e tuttora, seppure in sempre minor grado, consente, la lavanderia di capitali mondiali di dubbia provenienza, spesso anche quelli che provengono dal malaffare della politica italiana. Lo criticano da un lato ma lo tutelano dall’altro, per trarne profitto. O, altro peccato, anch’esso piccolo piccolo, questa volta però in tema di civiltà e tolleranza, è l’approccio, discutibile, con cui in alcuni casi gli svizzeri trattano, con leggi e referendum, i lavoratori stranieri, di cui molti frontalieri italiani, che prestano onestamente la loro opera da loro. Ma nessuna critica, nessun giudizio: dato che io fatico a giudicare ciò che accade in casa mia preferisco non avventurarmi nel giudizio di ciò che accade in casa altrui. Suggerirei al lettore svizzero di fare lo stesso, di avere piuttosto identica attenzione alle vicende sue domestiche ed eventualmente inviare le sue osservazioni al Corriere del Ticino. Non mi stupisce tuttavia, e qui mi rivolgo a Lei, che un lettore svizzero abbia scritto una lettera, di quel tenore e con quei contenuti, al maggiore quotidiano nazionale italiano, ma che questa gli sia stata pubblicata.
Luca Pasi
Caro Pasi,
Portati alle loro estreme conseguenze gli argomenti della sua lettera sembrano affermare che ogni Paese può essere giudicato soltanto da se stesso. Non è mai accaduto ed è molto improbabile che possa accadere fra popoli che condividono valori e interessi. Viviamo sullo stesso continente, abbiamo attraversato le stesse vicende e ci siamo continuamente copiati, ciascuno di noi cercando di trarre il massimo vantaggio possibile dalle esperienze dell’altro. Questi rapporti sono stati spesso caratterizzati da gelosia e invidia, ostilità e sarcasmo, ma il fattore che maggiormente ci distingue e ci rende «cugini», è la straordinaria permeabilità di ogni Paese europeo alle esperienze altrui. Abbiamo gli stessi problemi e sappiamo istintivamente che la soluzione escogitata da uno può servire alle esigenze di altri. È questa la ragione per cui nessuna nazione europea, nel corso della sua storia, è stata culturalmente autarchica. Neppure durante le guerre di religione, quando l’Europa appariva irrimediabilmente divisa fra cattolici e protestanti, la circolazione delle idee è stata interrotta.
Aggiungo, caro Pasi, che questa interdipendenza è stata considerevolmente aumentata dalla globalità dell’economia e dalla crisi che ha colpito l’Europa nel 2008. Abbiamo appreso che la nostra prosperità non dipende soltanto dalle nostre scelte politiche ed economiche. Dipende altresì dalla buona salute dei nostri vicini. Anch’io, se fossi svizzero, seguirei con attenzione il caso italiano, mi chiederei quali ripercussioni possa avere sul mio futuro, cercherei di capire che cosa sta accadendo al di là dei confini. Un lettore della Confederazione ha pensato che questo giornale potesse aiutarlo. Non credo che avremmo dovuto deludere le sua richiesta.
PS. Ho scritto spesso che il segreto bancario della Svizzera sarebbe stato, prima o dopo, vittima della globalizzazione. Gli ultimi accordi della Confederazione con l’Unione europea e le autorità fiscali americane lo stanno accompagnando alla tomba.