Marco Ventura, Corriere della Sera 13/6/2014, 13 giugno 2014
SE IL PROF DI RELIGIONE È UN PRETE SPOSATO LA CHIESA LO LICENZIA, STRASBURGO APPROVA
José Antonio Fernández Martínez ha settantasette anni. È sposato da trent’anni, ha cinque figli. È un prete cattolico. Ieri a Strasburgo ha perso una battaglia giudiziaria quasi ventennale. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha deciso in favore della Chiesa cattolica e del governo spagnolo: l’autorità ecclesiastica ha il diritto di giudicare dell’idoneità di chi insegna la religione cattolica nella scuola pubblica e dunque rappresenta la Chiesa stessa. Protestando in pubblico contro il celibato dei preti, il signor Fernández Martínez è venuto meno al «dovere di lealtà aggravato» cui era tenuto. Legittimo il conseguente non rinnovo della docenza, disposto dal ministero su richiesta del vescovo. L’Europa ha fatto chiarezza, riconoscendo che legge e dottrina blindano le prerogative dei vescovi e l’«autonomia» della Chiesa. Vi è stata battaglia, tuttavia, nel palazzo di Strasburgo. Nel primo giudizio della Corte, due anni fa, il solo giudice spagnolo si era schierato con il signor Fernández Martínez; ma stavolta il collegio giudicante si è spaccato di netto. Nove giudici contro otto. Gli otto hanno sottolineato le incongruenze giuridiche e le contraddizioni fattuali della vicenda. Il vescovo consentì all’assunzione del sacerdote come insegnante di religione quando don José, sei anni dopo le nozze, era già pubblicamente sposo e padre. Il prete conservò la cattedra per ben sei anni.
La sua partecipazione a una protesta contro il celibato precipitò le cose. Giunse da Roma la dispensa, tredici anni dopo la domanda, e il vescovo di Cartagena chiese all’amministrazione scolastica di non rinnovare il contratto. Dopo due anni di disoccupazione, José Antonio Fernández Martínez trovò un posto in un museo e dopo quattro anni andò in pensione. Il prete sposato era un impiegato dello Stato, non della Chiesa, ha sostenuto la minoranza, il suo diritto alla vita privata e familiare meritava tutela. La libertà religiosa europea, ha ribattuto la maggioranza, non tutela «il diritto al dissenso all’interno di una comunità religiosa»: i diritti della Chiesa hanno la precedenza.