Maria Volpe, Corriere della Sera 13/6/2014, 13 giugno 2014
GIULIO SCARPATI
Mia madre malata di Alzheimer mi ha insegnato che, a volte, per capirsi può bastare un sopracciglio Quando le persone che ami perdono la memoria, senti un profondissimo senso di rabbia. Provi a far riemergere i ricordi, ti arrabbi con il mondo, ti convinci che prima o poi la memoria tornerà. Infine ti arrendi. Succede a tutti. È successo anche a Giulio Scarpati, classe ‘56, sorriso infantile, viso pulito, attore amato dal grande pubblico televisivo per «Un medico in famiglia», per «Fuoriclasse» e da quello teatrale più raffinato per «L’idiota», per «Oscura immensità» con la regia di Alessandro Gassman. E a mettere tutti d’accordo, l’amato musical «Aggiungi un posto a tavola». La sua mamma si è ammalata di Alzheimer, un morbo che uccide i pensieri, annebbia la mente. Una malattia che cancella l’identità. E quando un giorno ti verrebbe da urlare: «Quante domande avrei potuto farti finché eri in grado di rispondermi», è già troppo tardi. Lei/lui non può più risponderti e tu non ti dai pace.
Il dolore
Scarpati invece ha provato a metabolizzare questo dolore scrivendo un libro «Ti ricordi la Casa Rossa? - Lettera a mia madre», uno sforzo di memoria perché là dove non arrivava più la mente della mamma, riaffioravano pezzi di vita del passato di Giulio, che lui ha tradotto in scrittura. Un neofita, un percorso doloroso il suo. Un libro scritto di getto cominciato a maggio dello scorso anno, finito a novembre, stampato a gennaio. Che ora sta presentando in giro per l’Italia: tantissime persone che hanno un familiare con l’Alzheimer si sentono meno sole, capite, aiutate. La mamma di Giulio è mancata poco meno di un mese fa, il 17 maggio. «Tutto ha coinciso, così che io, mia sorella e mio fratello, potessimo essere accanto a lei nel momento dell’addio. Una conclusione non violenta e questo mi sembra già il modo migliore di andarsene».
Sì perché Scarpati aveva appena terminato la sua tournée teatrale. «Mia madre adorava il teatro — racconta — era convinta che quello fosse il mio vero mestiere. Quando è arrivato il grande successo popolare con “Un medico in famiglia” lei non ne era entusiasta. Contenta sì, ma nulla di più. Mi diceva sempre: “Non lasciare il teatro”. Anche questo mi ha aiutato a tenere i piedi per terra e non perdere la “brocca”». E lui non lo lascia certo il teatro, lui che nel 1989 ha ricevuto il Premio per il miglior attore emergente dalle mani di Giorgio Strehler, lui che ha sposato la regista di teatro Nora Venturini che lo ha diretto in «La notte poco prima della foresta» di Bernard-Marie Koltès (2001) e «Una storia d’amore: Anton Checov-Olga Knipper» e anche nell’autobiografico oneman show «Troppo Buono». Eppure c’è un lavoro televisivo che ha commosso la mamma di Giulio e che è rimasto indelebile nel cuore dell’attore: la fiction «Il giudice ragazzino» sulla vita e la morte per mano della mafia di Rosario Livatino. «Sono andato a trovare i genitori di Livatino nella loro casa in Sicilia per farmi raccontare del figlio — spiega Scarpati — ed è stato molto toccante: la sua stanza era rimasta ancora così intatta, com’era. E la mamma a un certo punto mi si è avvicinata e mi ha spostato i capelli. Mi ha detto: Rosario li portava così, da questa parte”». Una interpretazione che gli è valso il David di Donatello come miglior attore.
I ricordi
Eppure ora questa esperienza di scrittura lo sta coinvolgendo in modo profondo. «Sono felice di aver fatto questo libro, anche se mi è costato molto: mi sentivo inadeguato ma ha fatto bene a me, alla mia famiglia e anche ai tanti parenti di malati che vivono la mia situazione, che hanno gli stessi dubbi, la stessa disperazione, lo stesso senso di impotenza di fronte ai medici che non sanno cosa dirti». E proprio da quei silenzi comincia una battaglia personale fatta di disperati tentativi: là dove la scienza e la medicina non arrivano, speri di arrivare tu con l’accudimento e l’amore. «Noi figli provavamo a farle sentire le sue musiche preferite, la canzone napoletana, Murolo, attraverso l’iPod, sperando di riaccenderle qualche ricordo. Ma tanto non lo saprai mai cosa riaccendi. E così a un certo punto capisci che devi abbandonare la fase razionale, e concentrarti solo sull’emotività. Devi spostare la comunicazione, dal piano della parola a quello dell’affettività. E un sorriso ti basta, anche un sopracciglio».
Il libro è lieve, però. A tratti si insinua sì certo la disperazione, ma tra le pagine c’è anche molta dolcezza nel ricordare la propria infanzia, un tempo perduto, quelle lunghe estati in 600 «che era un po’ il viaggio della famiglia italiana negli Anni 60, anni in cui comunque si aveva voglia di guardare avanti, quella voglia che ora non abbiamo più». Mamma, papà, bambini, numerosi animali («mia mamma ci ha insegnato l’amore per gli animali, la natura, l’ambiente») verso Licosa, una frazione del comune di Castellabate in provincia di Salerno, splendida e selvaggia località di mare nel Cilento. «Durante i quattro mesi estivi, facevamo cose impensabili per noi bambini di città: la raccolta dei pomodori, dei fichi, a fine estate, la vendemmia. In autunno la raccolta delle olive». Un altro mondo, «Un mondo arcaico dove si viveva in libertà assoluta perché c’era più fiducia nel mondo» un esercizio di un passato felice per chiunque legga.
Legame
Una dolcezza che ha aiutato Giulio Scarpati a superare i tanti momenti di dolore. E quando il dolore ti si manifesta davanti così crudo devi trovare il modo di reagire. «Ci sono stati dei momenti in cui mi arrabbiavo perché mi pareva che mia madre non combattesse più, ma poi mi rendevo conto che non era questione di volontà, non poteva farcela. Quella malattia porta a una sorta di retrocessione fisica e mentale che in natura non esiste». E questo stato che «in natura non esiste» lo toccano con mano i familiari dei malati di Alzheimer che in questi lunghi mesi hanno ascoltato le presentazioni del libro di Scarpati, gli hanno scritto, gli hanno mandato email. «In tanti mi hanno contattato per condividere lo stesso problema. Il mio dolore l’ho metabolizzato attraverso il libro e provo a dare un po’ di conforto agli altri. Sono tante le associazioni di malati di Alzheimer che mi chiedono di fare da testimonial, ma vorrei essere certo di trovarne una davvero seria».
Dopo questi calvari pensi di essere pronto alla morte di chi ami. Sono in tanti a dirti «Meglio così, ha smesso di soffrire». Non è così. «È chiaro che con una certa assenza di mia madre avevo già fatto i conti, ma un legame c’era eccome» dice Giulio.