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 2014  giugno 13 Venerdì calendario

BENJAMIN, IL 26ENNE AUTARCHICO CHE COMPRA SOLO FRANCESE


DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PARIGI — Atmosfera un po’ da Istituto Luce, ieri sera al bellissimo e storico cinema Louxor di Parigi, dove il ministro dell’Economia francese Arnaud Montebourg ha organizzato una proiezione speciale, patrocinata dal governo, del documentario «L’anno in cui ho vissuto al 100% francese». Il giornalista 26enne Benjamin Carle si è ripreso per nove mesi mentre trasformava il suo piccolo appartamento di Belleville in un fortino del «made in France», e qualche settimana fa il film è già andato in onda su Canal Plus; mancava la benedizione ufficiale, che è arrivata con gli applausi, i ringraziamenti, le lodi del ministro Montebourg. «Anche questo è il patriottismo economico che farà ripartire la Francia», ha detto il ministro, portando l’autore — che ha rinunciato a lavatrice e David Bowie — a esempio di impegno civile.
In questi giorni Montebourg è impegnato nella difficile trattativa con General Electric, Siemens e Mitsubishi per vendere al miglior offerente l’ex gioiello industriale francese Alstom. Il leader mondiale delle turbine elettriche finirà inevitabilmente in mani americane, tedesche o giapponesi, alla faccia del patriottismo economico, ma intanto il ministro ha abbracciato quel ragazzo che, a colpi di baguette contro i perfidi sandwich di Albione, bevendo Bordeaux al posto di birre forestiere, ha provato a vivere come mai è riuscito neppure a Marianna di Francia.
L’esperimento autarchico di Benjamin Carle, un po’ Italia della cicoria un po’ Pyongyang, è molto divertente, perché condotto con tono semiserio. Carle comincia col disfarsi di tutto quello che non è prodotto in Francia: via la chitarra Epiphone, la bicicletta britannica sostituita da un vecchio motorino Motobécane, via gli spartiti degli Smiths, via i mobili Ikea, il Mac e l’iPhone, via la camicia fatta in Bangladesh, il giubbotto di pelle inglese, le Clarks made in Vietnam e i jeans cuciti da mani thailandesi. Rimane in mutande, con il gatto, ma senza frigo. Volenteroso, corre in un negozio di elettrodomestici, ma trova solo prodotti costruiti in Turchia, Slovacchia, Repubblica ceca. «Purtroppo le devo dire che non esistono più frigoriferi made in France, abbiamo smesso da tempo di produrli. Forse posso trovarle un congelatore Whirlpool fatto ancora qui da noi», suggerisce il commesso, ma Benjamin obietta timido che «in effetti non è la stessa cosa». Torna a casa, annuncia gioiosamente alla fidanzata Anaïs che potranno avere una asciugatrice, quelle ancora in Francia si fanno, ma il frigorifero no. Alimenti sul terrazzo, e quando fa caldo spesa giorno per giorno.
L’idea è presa da «Super Size Me», il film dell’americano Morgan Spurlock che per un mese si è nutrito solo da McDonald’s. Ed è stata ispirata da una ormai leggendaria copertina del Parisien del 19 ottobre 2012, quella in cui Arnaud Montebourg posa in marinière (la tradizionale maglietta bianca a strisce blu prodotta dalla Armor Lux in Bretagna), esibendo inoltre un frullatore Moulinex e un orologio Herbelin. All’epoca Montebourg è ministro del Rilancio produttivo, e sceglie di mettersi in gioco di persona pur di contrastare con ogni mezzo il declino industriale francese. Le fabbriche — dall’acciaio di Florange alle automobili di Aulnay — chiudono, la Francia rischia di tramutarsi in un parco giochi per ricchi turisti che vengono a comprare vini pregiati, borsette e poco altro. Ecco allora l’incitamento a comprare nazionale, che storicamente è sempre servito a ben poco ma almeno potrebbe rilanciare il morale, se non la competitività.
Benjamin Carle, appassionato di serie tv americane e di rock anglosassone (il gatto si chiama Loon in onore al batterista degli Who, Keith Moon) ci mette un po’ di ironia e di ideologia del chilometro zero portata all’estremo. Gli tocca pagare un ombrello 140 euro, ma si dice «fiero di avere dedicato quasi un anno della mia vita a non distruggere posti di lavoro in Francia».
Anche Montebourg canta una canzone della gloria nazionale Michel Sardou e quindi gioca con l’autoironia, ma mica tanto. «Lo Stato non fa abbastanza, questa situazione deve finire», dice il ministro con aria grave, improvvisamente tornato serio. Nel momento in cui l’Europa negozia il trattato di libero scambio con gli Usa, la Francia sembra aggrapparsi al frullatore autoctono.