Marco Imarisio, Corriere della Sera 13/6/2014, 13 giugno 2014
ORSONI CONTRO RENZI: SUPERFICIALE E FARISAICO
DAL NOSTRO INVIATO VENEZIA — La misura della sua solitudine è nel groppo alla gola che lo prende quando nomina Piero Fassino. Non proprio un suo amico intimo, anzi un uomo con una storia ben diversa dalla sua. «È stato l’unico a difendermi, l’unico». Lo sguardo di Giorgio Orsoni contiene la malinconia e il sollievo di un congedo. Come se tutto quel che sta intorno a lui, seduto al centro del tavolo di vetro nel suo studio in municipio, la ressa di giornalisti e fotografi, gli arazzi di Ca’ Farsetti, non gli appartenesse più. «Non ho un passato né un futuro politico. Avevo deciso da tempo di dire basta. Il mio unico rimpianto è aver accettato la richiesta di fare il sindaco».
Alle 11 del mattino era agli arresti domiciliari nella sua casa di fronte al municipio. Alle tre del pomeriggio è dall’altra parte del Canal Grande a presiedere la riunione di Giunta. Una delle ultime. L’ottovolante giudiziario sul quale è stato fatto salire produrrà conseguenze nel lungo e soprattutto nel breve periodo. «La mia amarezza è enorme. Sono stato trattato in modo superficiale e farisaico da alcuni esponenti del Pd, il partito che mi aveva chiesto di candidarmi, e anche dal suo vertice nazionale». La vicenda del professor Orsoni rischia di essere ricordata come una pagina nera dei democratici, che dopo l’arresto non gli hanno mai accordato il beneficio del dubbio. Il sindaco non vede l’ora di tornare alla sua vecchia vita. Ma prima ci tiene a lenire le ferite ricevute al suo amor proprio.
La delusione più grande si chiama Matteo Renzi, che con vezzo retorico Orsoni evita di chiamare per nome. «Le prime dichiarazioni, sue e di un suo stretto collaboratore, che mi disconoscevano, le ho passate ai miei legali. Hanno detto che non mi conoscevano, che non ero del Pd e quindi si chiamavano fuori. L’attuale presidente del Consiglio lo conosco fin da quando era “solo” sindaco a Firenze, e l’ho sempre apprezzato. Ma devo ammettere che la superficialità con cui ha trattato la mia posizione mi ha molto colpito».
Orsoni si considera innocente. I quattro mesi di patteggiamento concordati li considera alla stregua di «una goccia di sangue» che ha dovuto versare, il prezzo da pagare per scendere dall’ottovolante. «Sono stato accostato a gente che ho sempre combattuto. Evidentemente chi fa della fretta un vanto non si accorge che perde di vista la sostanza delle cose. Il mio ex collega sindaco ha preferito anteporre un provvedimento della procura alla conoscenza diretta della persona. Questo modo di fare e di accodarsi a un’ingiusta marea montante può essere un problema per chi ha responsabilità di governo».
La signorilità è una virtù che si abbina male con l’amarezza. Orsoni cerca di governare i due estremi senza scivolare nella rabbia, senza perdere l’immagine che ha e vuole dare di sé. «C’è qualcuno nel partito che mi ha organizzato la campagna elettorale, mi ha sollecitato a chiedere finanziamenti. E in questi giorni ha finto di passare di lì per caso, arrivando ad accostarmi a una banda di malfattori. A me, che non ho gestito un solo evento di quella campagna. Come si definisce questo comportamento?». Un mese fa la «sua» candidata capolista alle Europee, Alessandra Moretti, lo citava come un prodotto del Nordest da esportare, un modello di governo. «In questi giorni ha detto che rappresento un modo vecchio di fare politica. Da una persona passata in modo così veloce da Bersani a un’adesione totale al nuovo segretario ti puoi aspettare questo e altro. Facendo così mantieni il potere, non il rispetto degli altri».
Il suo nome non appartiene più alla cronaca giudiziaria: è caso politico. Ed era chiaro che sarebbe andata così. Troppa sproporzione tra le accuse che gli venivano rivolte e le prese di distanza così zelanti da risultare inumane. «Per me sarebbe facile dimettermi e mandare tutti a quel paese. Ma non lo faccio, non subito. C’è da approvare il bilancio. Non sono come chi agisce seguendo l’onda e le apparenze, senza valutare la situazione. Ragionerò a mente fredda e spero che non arrivino forzature, che da parte di un ex sindaco ci sia rispetto per le decisioni che saranno prese in sede locale». Il sindaco di Venezia deve raccogliere la voce quando parla del Pd. «L’amarezza è enorme. Non ero iscritto, ma ci credevo tanto a una forza riformista in grado di governare. Ho accettato la candidatura, anche se molti mi rimproveravano la mia estrazione borghese, non in linea con la tradizione del partito. Poi mi sono ritrovato in situazioni grigie a livello locale, scegliendo di non mediare, come mi veniva consigliato. Mi sono fatto dei nemici. Il risultato è questo». Orsoni esce di scena. La sensazione è quella di una occasione perduta, una storia dalla quale tutti escono male. «Se vi dicessi davvero quel che provo e come mi sento, non credo che potreste scriverlo». Il peccato originale resta sullo sfondo della conversazione per ragioni di opportunità. Orsoni è stato arrestato nel giugno 2014 per un presunto finanziamento illecito del febbraio 2010. La sua parola contro quella di un accusatore. Nient’altro. Pare che i magistrati abbiano riconosciuto di essere stati «un po’ severi» con il sindaco. Non solo loro.