Elena Lisa, La Stampa 13/6/2014, 13 giugno 2014
LA PRIMA VOLTA DELL’ESPRESSO SERVITO TRA LE STELLE
Il maggiore dell’Aeronautica Luca Parmitano è lì che fluttua sulla Iss, la Stazione spaziale internazionale, quando in collegamento con la Terra guarda in camera e si lascia scappare: «Qui tutto ok, le operazioni procedono bene. A pranzo ho anche mangiato le melanzane alla parmigiana». Suspence. «Certo – ha aggiunto – potessi gustarmi un buon caffè, la mia missione sarebbe perfetta».
Un desiderio chiaramente «espresso» - è il caso di dirlo – e 400 chilometri più sotto, di rimbalzo, alla Lavazza pensano: «Se gli astronauti si nutrono con la parmigiana, vuoi che sia impossibile accontentarli per il caffè?». Impossibile no. Ma complicato sì. L’espresso è roba seria: servono acqua, pressione, temperatura giuste. E per farlo occorre una macchina speciale. Perché vivere in una base spaziale è una circostanza ancor più seria. Servono misure di sicurezza estreme. Mica puoi prepararti una moka. Ecco, questo è il prologo della storia del caffè nello spazio. L’epilogo è che per la prossima missione, «Futura», quella prevista per novembre e alla quale parteciperà Samantha Cristoforetti, la prima donna italiana nello spazio, l’Agenzia spaziale italiana consegnerà alla Nasa una macchina per caffè progettata dalla Argotec, società aerospaziale, la cui sede, a Torino, è - per destino - a pochi chilometri dalla Lavazza. La notizia, quindi, è un successo esclusivamente italiano.
«L’idea ci ha catalizzato subito – dice David Avino, a capo della Argotec – perché sapevamo che sarebbe stata una sfida non semplice. I nostri ingegneri hanno progettato un marchingegno di 20 chili. Il design è stato totalmente rivisto e abbiamo realizzato un nuovo concetto di macchina a capsule per il caffè».
Il nome scelto - non poteva essere altrimenti - è «ISSpresso» ed è un’invenzione multifunzionale. Non fa solo caffè, ma diversi tipi di bevande, tra le quali thè e liquidi per idratare il cibo degli astronauti. Liquidi, quindi, non solo acqua, ma anche brodi con spezie e consommé per integrare la nutrizione di chi trascorre mesi nella stazione. Il peso della «ISSpresso» dipende dalle misure di sicurezza. Un esempio. Una macchina per caffè è costruita con tubi di gomma per resistere a una pressione attorno ai 7-8 bar. Questa, invece, è stata progettata con condotte d’acciaio che di bar ne devono sopportare almeno 400. L’acqua, poi, deve essere mantenuta a flusso continuo, cioè non può ristagnare, specialmente se è ad alta temperatura. Perché in condizioni di microgravità i principi di fluidodinamica valgono all’inverso o quasi: le bolle più calde non salgono in superficie, ma restano sul fondo, e così l’acqua deve muoversi nel circuito costantemente. Il particolare incredibile - incredibile almeno fino a quando gli ingegneri della Argotec non spiegheranno come sia stato possibile raggiungere l’effetto; per ora non possono, questa parte dell’invenzione non è ancora sotto brevetto - è che la macchina a capsule è capace di mantenere nello spazio la temperatura ideale del caffè «terrestre». Cioè tra i 72 e i 75°. La miscela è 100% arabica. Il gusto quindi è garantito. Ad essere diversa è la consistenza: l’espresso è più emulsionato e schiumoso, ma - questo no, non è possibile - non sarà servito in una tazzina. Si dovrà bere con una cannuccia. Il caffè è contenuto in un «pouch», un sacchetto, con due opzioni: dolce o amaro.
«“ISSpresso” è tra le nostre sfide più emozionanti – dice Giuseppe Lavazza, vicepresidente dell’azienda – ed è un sogno visionario che si realizza: uomini e donne a passeggio nello spazio a sorseggiare caffè. Siamo orgogliosi, perché qui non si tratta di una bevanda e basta, ma di un supporto psicologico». Necessità umana che vince la gravità: un caffè insieme, anche se a testa giù.
Elena Lisa, La Stampa 13/6/2014