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 2014  giugno 13 Venerdì calendario

LA STAMPANTE 3D CREÒ IL LAMPONE “INIZIA L’ERA DEI FRUTTI FAI DA TE”

Le stampanti 3D escono dal mondo dei giocattoli e dei gioiellini e si avventurano nel regno di Dio. Il terzo giorno, nel libro della Genesi, Dio creò “alberi che fanno il frutto”. Per alcuni miliardi di anni si è fatto così. Poi, il 24 maggio scorso, a Cambridge un frutto è stato creato con una stampante 3D. Tecnicamente, lo hanno stampato. Un lampone, o qualcosa che gli assomigliava fortemente. Il sapore in compenso era sicuramente di lampone. Perché tutto è partito da lì, dal succo di lampone infilato in una macchina che ricorda le stampanti 3D che vanno tanto di moda adesso. Degli accrocchi metallici alti meno di un metro che ormai si comprano anche per meno di mille euro. Solo che quelle in circolazione stampano per la gran parte oggettini di plastica. Creano oggetti con un processo che prende il nome di adductive manufacturing , manifattura per aggiunta invece che per sottrazione di materia. Questa, utilizzando una tecnica della gastronomia molecolare che prende il nome di “sferificazione”, ha dapprima aggiunto acido algicinico per trasformare il succo in globuli gelatinosi simili a uova di caviale; e poi ha immerso il tutto in una soluzione di calcio molto fredda. E in meno di un minuto, il lampone 3D era pronto. Com’era? Uno dei tre giurati della edizione inglese di Masterchef ha pubblicamente lodato l’esperimento: “È buono!”. E qualche sito web di tecnologia ha esultato: “Ridicolizzata la natura”. Inorridite? Comprensibile, se vi piacciono i veri lamponi: ma prima leggete il resto della storia.
L’operazione, che è stata presentata qualche giorno fa al Tech Food Hack di Cambridge, porta la firma di un team di innovatori “non convenzionali”, Dovetailed . La fondatrice e direttrice creativa, Vaiva Kalikaité, che non ha ancora quarant’anni, porta lunghi capelli biondi e occhiali con montatura nera e spessa da nerd, dice: «Abbiamo progettato questa cosa per un bel po’. La nostra stampante di frutta 3D spalanca nuove opportunità non solo per gli chef professionisti, ma anche per le cucine domestiche. Le nostre esperienze culinarie saranno migliori: abbiamo reinventato il concetto di frutta on demand. È un momento molto eccitante per essere innovatori, questo».
Il lampone 3D non è il primo della serie. Anzi, potremmo dire che chiude un cerchio. Prima si sono viste stampanti 3D produrre sculture di cioccolato e di zucchero. Carino. Poi ci si è messa la Nasa, l’agenzia spaziale americana, che nel suo tentativo di migliorare i pasti degli astronauti, un anno fa ha messo in palio 125mila dollari per chi fosse riuscito a fare una pizza con una stampante 3D. Un anno fa è stato annunciato che il premio lo ha vinto Anjan Contractor, un ingegnere meccanico texano che si era allenato col cioccolato per passare alla salsa di pomodoro e alla mozzarella. “Trasformeremo tutti gli ingredienti in polveri che poi saranno estruse” fu la promessa. Ma appena sei mesi dopo la startup Natural Machines ha annunciato di aver realizzato Foodini, una stampante di pizza non ancora perfettamente funzionante in effetti (il formaggio e l’origano vengono aggiunti a mano).
Con il lampone di Cambridge però si cambia scala. Si entra nel mondo della natura. In verità alcune stampanti 3D nel mondo vengono già usate per stampare tessuti e pezzi di organi umani (lo fa Organovo in California); e il capo del Center for Bits and Atoms del MIT Neil Gershenfeld da tempo sta lavorando ad una macchina che dagli atomi crei qualunque cosa simulando il teletrasporto (l’ha chiamata Replicator, come nel film Star Trek). Ma va detto che siamo ancora in un territorio molto sperimentale. Il lampone di Cambridge invece rischia di essere una cosa molto concreta. Come la pecora Dolly che aprì la strada alla clonazione animale. Sarà così importante? Gabriel Villar, che è il capo-inventore di Dovetailed, pensa di sì: «Con la nostra tecnologia sarà possibile non soltanto riprodurre frutti esistenti, ma crearne di totalmente nuovi. Il gusto, la consistenza, la dimensione e la forma di un frutto, tutto potrà essere modificato a piacere». In realtà dice “customizzato”, come se si trattasse di una automobile o di un computer. Buon appetito. Il prossimo esperimento sarà per rifare un arancio.

Riccardo Luna, la Repubblica 13/6/2014