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 2014  giugno 13 Venerdì calendario

TRANSFAMILY


Storie di vite in transizione. Ottavia Voza, architetta, si chiamava Ottavio. Ha due figli adolescenti. Meravigliosi, dice. «Uomo, donna, il mio vero ruolo è essere genitore... ». Dopo la storia di Alessandra e Alessandra e la sentenza della Consulta, le persone trans si raccontano. Esistenze come piani inclinati. Estremo dolore, estrema gioia. “Transfamiglie” che incredibilmente (e faticosamente) scompongono e ricompongono equilibri affettivi mai visti prima. Milena e Christian, 24 anni lei, 26 anni lui: lei si chiamava Francesco Barzacchia e lui Beatrice Cristalli. Videomaker entrambi. Una sera a Bologna s’incontrano e s’innamorano. L’essere tutti e due in “transizione”, ossia nel percorso di cambiamento di sesso, cementa l’unione. Christian è stato radicale: operato, non ha più l’apparato riproduttivo femminile. Milena no: «Non accetto il bisturi, gli ormoni mi hanno già trasformata. Voglio che la società mi riconosca come donna, nonostante i genitali maschili... ». Antonella B. oggi sui documenti è Antonio B., sposato in seconde nozze con Marta. «Alla discussione di laurea di mio figlio Giovanni c’era il mio ex marito, la sua nuova compagna, mia moglie ed io. Giovanni ha preso trenta e lode, fa il chirurgo. Ha sofferto? Sì, indubbiamente, ma dice che è stato meglio conoscere la verità».
Vite trans. Vite nel limbo. Cioè in mutamento, in cammino. Operazioni dolorosissime. Iter legali infiniti. Per cambiare sesso ci vogliono due sentenze del giudice. La prima per l’intervento, la seconda per il cambio all’anagrafe. Ma chi sono, cosa chiedono, come vivono queste nuove coppie e famiglie quando uno dei componenti si fa trasformare chirurgicamente nel sesso opposto, oppure rinuncia al bisturi ma si lascia mutare dagli ormoni? Un’avanguardia verso la quale molti girano la testa dall’altra parte. Troppo sconvolgente. Soprattutto per i figli. Né bianco, né nero. Maschile e femminile che si confondono. A partire dal nome.
«Per favore chiamateci “persone trans” e non solamente trans , che subito fa pensare alla prostituzione», chiede Porpora Marcasciano, ex maschio, oggi presidente dello storico “Mit”, Movimento Identità Transessuale, e che ha appena diretto il festival del cinema “Divergenti”. «È durissima. La società preferisce confinarci nell’ambito della trasgressione perché non può accettare la nostra esistenza “normale”. Ho vissuto due grandi amori con due uomini, non mi sono mai operata ma ho raggiunto il mio essere femmina con le cure. Ma presentarsi in pubblico, raccontarlo ai parenti, uno strazio... Per non parlare delle violenze contro i trans di cui l’Italia detiene il primato. Però lentamente qualcosa sta cambiando, lo dimostra la sentenza della Corte Costituzionale».
E si deve infatti alla tenacia di Alessandra Bernaroli, ex Alessandro, e alla sua caparbia volontà di non divorziare dalla moglie Alessandra, se i giudici costituzionali sono stati costretti per la prima volta ad occuparsi del sentimento transgender. Già perché Alessandro-Alessandra continua ad amare ricambiata (anche ora che è femmina), sua moglie. Ma per lo stato italiano non può esistere un matrimonio tra due donne. E dunque il divorzio dovrebbe avvenire d’ufficio, ma i costituzionalisti affermano che invece non è così, e spetterà al Parlamento trovare una soluzione, magari un’unione civile.
E l’altra Alessandra? Come si può continuare a convivere da donna con una marito che cambia sesso e diventa “lei”, confondendo le due metà del cielo? «Sono rimasta con lui per amore e fede. Sono religiosa, mi sono sposata in chiesa e credo nell’idea di restare uniti nel bene e nel male, che tutto abbia un senso, anche questa cosa sconvolgente che ci è capitata. Ma la verità è che io sono rimasta soprattutto per amore. Condividiamo idee e valori, siamo riusciti a ritrovare un equilibrio nonostante anni di vero tormento mio e suo». Alessandra parla del dolore, del dispiacere di amici missing all’improvviso perché non riuscivano ad accettare la trasformazione. «Eppure questa è solo una storia d’amore. Amavo Alessandro amo Alessandra...».
Mica facile però. Legittimo sentirsi confusi. Anche se la storia di Alessandra-Alessandra, la possibilità di reinnamorarsi cioè del proprio partner pur avendo oggi lo stesso sesso, era stata non soltanto già vissuta ma anche già raccontata. Lo scrittore inglese James Humphrey Morris, padre di cinque figli, diventato donna negli anni Settanta, descrive in un libro la sua unione civile nel 2008 con la stessa moglie da cui aveva divorziato da maschio. Complicato? Forse. Ma Ottavio-Ottavia Voza, cinquant’anni, architetta di successo in attesa di divorzio, seduta in un affollato caffè di Paestum con accanto i figli adolescenti, descrive la sua particolare ma in fondo stabile famiglia ricomposta. «La mia transizione è iniziata quando i bambini avevano sette e nove anni. Quando finalmente ho accettato di dare un nome a quel malessere che mi portavo dentro da sempre, essere cioè in un corpo che non ti definisce né ti rappresenta. E sembrerà paradossale ma è proprio per i miei figli che l’ho fatto, anche se ogni mattina mi sveglio e spero che non soffrano per le mie scelte». Ottavia infatti da ex padre, oggi madre, è proprio il ruolo di genitore che mette al primo posto. «Non voglio raccontare favole: mio figlio maggiore mi ha chiesto perché non ho aspettato che fossero adulti per cambiare sesso, e mia figlia un giorno ha deciso che non ne poteva più e ha dichiarato in classe che aveva due mamme. Viviamo a Paestum, una realtà piccola, e la nostra storia ha sconvolto molti. Ero un architetto ricco, affermato, con una bella moglie, e adesso...».
Adesso l’ex moglie di Ottavia vive con i figli in un bell’agriturismo appena fuori Paestum, e i ragazzi si alternano tra le case dei genitori. Ottavia, che guida l’Arcigay di Salerno, fa capire che è soltanto cambiando sesso che è riuscita a restare in piedi, a non sprofondare nella depressione. «Sembra paradossale ma è per i miei figli che l’ho fatto. Per continuare ad esserci. E mi sembrano sereni. Sport, musica, equitazione: stiamo sempre insieme. Ma ho deciso di non operarmi: la nostra battaglia di trans è che ci venga riconosciuto il cambio di sesso senza dover più subire il bisturi».
L’attuale legge che governa in Italia il mutamento di genere è la 164 del 1982, una legge storica e per la quale il Mit, allora diretto da Marcella Di Folco, ottenne un grande successo dopo anni di battaglie. Ma adesso, come spiega Milena, ex Francesco Barzacchia, «è anacronistico obbligare i trans ad operarsi per ottenere il nuovo documento di identità». In effetti il punto centrale della legge appare agghiacciante: per cambiare bisogna dimostrare di non essere più fertili secondo la sessualità precedente. Si possono cioè mantenere il pene o la vagina, ma bisogna rimuovere utero e ovaie per le donne e le gonadi per i maschi.
Laureata al Dams, Milena lavora con Christian ex Beatrice, in una società che entrambi vogliono citare, la “Golden Group”. «Perché qui nessuno ci ha discriminati, sanno tutto della nostra transizione, ma non c’è stato problema. A differenza di Milena — dice Christian — che è stata sostenuta dalla famiglia nonostante abitasse in un piccolo paese, sono stato rifiutato, osteggiato e ho fatto tutto il percorso da solo. Adesso sono in attesa dei nuovi documenti. Nella vita quotidiana non ci sono ostacoli, viviamo a Bologna che è una città aperta. Ma ogni volta che prenotiamo una vacanza, e in albergo dobbiamo tirare fuori il passaporto, non potete immaginarvi la faccia degli addetti alla reception. Ed è tutto molto comico, se non fosse invece maledettamente serio».

Maria Novella De Luca e Caterina Pasolini, la Repubblica 13/6/2014