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 2014  giugno 13 Venerdì calendario

“NELLA GUARDIA DI FINANZA UN SISTEMA DI CORRUZIONE” NUOVE ACCUSE A BARDI


NAPOLI.
Hanno parlato. Offrendo ricordi, racconti, dettagli. Non solo imprenditori, ma anche alti ufficiali della Guardia di Finanza ora chiamano in causa il comandante generale in seconda delle Fiamme Gialle, Vito Bardi, indagato per corruzione a Napoli. Una valanga che rischia di diventare la nuova “Mani pulite” della Guardia di Finanza.
Si profila un vero e proprio “sistema” di corruzione molto più vasto, dietro il blitz della Procura che, dopo la perquisizione al Comando generale e l’arresto del colonnello Fabio Mendella — con l’accusa di avere intascato un milione di euro in tangenti dai due imprenditori, i fratelli Pizzicato — punta alle alte sfere. Il comandante Bardi avrebbe chiesto «favori e utilità» a vari imprenditori, i cui nomi vengono secretati nelle carte dell’inchiesta, ma emergono da filoni già esplorati. Tra i regali destinati al generale, ci sarebbero viaggi, soggiorni e «un posto barca ad Ostia». Non solo. Dal decreto di perquisizione a carico di Bardi, trapela l’esigenza di blindare testimoni e fonti di prova, nel timore di «iniziative inquinanti» riconducibili al suo ruolo. C’era una «rete di complicità», è dunque l’ipotesi del procuratore aggiunto Vincenzo Piscitelli e del pm Henry John Woodcock, che foraggiava le divise sporche. A quasi sette anni dall’inchiesta sulla P4 che aprì i primi squarci sulle complicità nella Finanza, si delinea ora la filiera eccellente delle mazzette. I colonnelli e altri quadri intermedi, alcuni dei quali già individuati come Mendella, sarebbero i collettori di tangenti; in cima, ecco il livello dei generali. Oltre a Bardi, è indagato anche il suo predecessore — oggi in pensione, ma già inguaiato dallo scandalo del Mose, a Venezia — Emilio Spaziante, lo stesso generale che il 21 febbraio scorso si sarebbe incontrato, in piazza Euclide a Roma con il capitano che aveva diretto una verifica “sospetta” sulle società dei Pizzicato.
Nelle prossime ore non si esclude un incontro riservato tra i magistrati di Napoli e quelli di Venezia. Tra le pagine delle intercettazioni, spunta anche un presunto giro di frequentazioni con donne, riferibile agli interessi di Mendella, anche se, per l’interpretazione dei pm, il termine è allusivo e potrebbe nascondere riferimenti ad altri personaggi.
«QUEL GENERALE PUÒ INQUINARE L’INCHIESTA»
Poche ma significative pagine. In cui il generale Bardi è descritto come fonte di possibile inquinamento dell’indagine. Nel decreto di perquisizione a carico del comandante in seconda, è scritto: ci sono «diverse fonti testimoniali che hanno riferito sia dei rapporti di stretta vicinanza tra il colonnello Mendella e il generale Bardi, sia dei rapporti di familiarità del generale con imprenditori partenopei (e non), a loro volta oggetto delle indagini». Un passaggio inedito e molto significativo conduce al contributo dato da alti ufficiali della Finanza: «Queste ultime circostanze sono state riferite anche da appartenenti alla Guardia di Finanza collocati ad alti livelli gerarchici sentite come persone informate sui fatti». Ci sono colonnelli che chiamano in causa il generale: eppure non c’è alcuna traccia di nomi o di contesti. Scrive la Procura: «Delle diverse fonti testimoniali si omette il riferimento nominativo per ragioni di cautela processuale, potendo le stesse essere oggetto di iniziative inquinanti, in ragione del ruolo rivestito da Bardi». Lo stesso provvedimento lascia comprendere la vastità delle indagini sul generale e l’esistenza di altri filoni. «Altri soggetti — è ancora scritto nel decreto di perquisizione — hanno riferito di rapporti ispirati a richieste di favori di rilievo economico riguardanti il predetto Bardi».
«QUANDO BARDI CHIESE I FAVORI»
Indagini parallele si intrecciano con il filone Guardia di Finanza. In uno dei processi a carico di Valter Lavitola, quello per tentata estorsione ai danni di Impregilo, la Procura ha depositato un verbale dell’imprenditore Mauro Velocci, già citato negli atti sul progetto “Carceri modulari” a Panama. Interrogato il 14 dicembre 2011, Velocci riferisce alcune confidenze ricevute da un altro imprenditore, Angelo Capriotti, che asseriva di avere “al soldo” alcuni rappresentanti delle forze dell’ordine. E quando i pm gli chiedono in particolare di rapporti di Capriotti con ufficiali della Guardia di Finanza, Velocci tira in ballo il generale Vito Bardi, al quale Capriotti aveva chiesto di interessarsi a un esposto presentato da una loro società. E aggiunge: «Dopo qualche tempo, Capriotti mi riferì che il generale Bardi gli aveva fatto delle richieste “strane”, ovvero richieste di utilità, se non sbaglio riferite all’acquisto o alla locazione di un posto barca ad Ostia». Un computer e alcuni atti e documenti sono stati prelevati da uffici e dalla casa del generale, all’esito della perquisizione condotta dalla Digos di Napoli e dagli stessi finanzieri della Tributaria di Roma. Intanto l’avvocato Vincenzo Siniscalchi, difensore di Bardi, sottolinea: «Il generale, pur nell’amarezza di queste ore, manifesta la sua intenzione di chiarire ogni aspetto e di mettersi a disposizione degli inquirenti, ribadendo l’assoluta fiducia nel loro lavoro e della giustizia».
D’AVANZO E I SUOI AMICI GENERALI
C’è un’altra vicenda di verifiche fiscali ritenute “anomale” che porterebbero dritte al colonnello Mendella e al generale Bardi. Sono i controlli sul gruppo imprenditoriale di Achille D’Avanzo, il patron della “Solido Property”. Costui, titolare di numerosi immobili affittati alla Guardia di Finanza, è amico non solo di Mendella e del generale Bardi, ma anche dell’ex capo del Sismi Niccolò Pollari. Proprio a Pollari, D’Avanzo aveva venduto un ampio e prestigioso appartamento a Campo de’ Fiori a Roma. Alla Finanza di Napoli, lo stesso D’Avanzo aveva fittato un edificio come caserma: affari al centro di un’indagine, poi archiviata a Roma. I sospetti di oggi, invece, si concentrano sui possibili favori fiscali che hanno riguardato le sue società. In particolare, colpisce l’analogia: così come gli imprenditori Pizzicato (che hanno detto di aver versato un milione di euro), anche D’Avanzo trasferì la sede delle imprese campane a Roma e lì, nella capitale, furono disposti nuovi accertamenti fiscali. Ma i legali della holding inviano una nota per dire: «le società hanno sede a Roma fin dal 2004». Dagli atti, in ogni caso, emerge una «indubbia contiguità » tra D’Avanzo e ambienti della Finanza, come emerge da alcune dichiarazioni dell’ex deputato Pdl Marco Milanese, l’ex consigliere politico dell’allora ministro Giulio Tremonti. Due ex eccellenti che potrebbero raccontare i retroscena di una stagione di potere, ormai in declino.

Dario Del Porto e Conchita Sannino, la Repubblica 13/6/2014