Filippo Ceccarelli, la Repubblica 13/6/2014, 13 giugno 2014
LE TRINCEE DI CORRADINO DA TELEKABUL AL SENATO
[Corradino Mineo] –
«Non posso più uscire di casa - raccontava Corradino Mineo con qualche autocompiacimento - senza che qualcuno mi interrompa, mentre sbircio un giornale o mi occupo del cane, per dirmi con tono imperativo: “Resista!”».
Come cambiano le cose, lasciando immutabili le parti e spesso anche i protagonisti. Era l’estate del 2010 e l’invocazione alla resistenza riguardava il direttore di Rainews24, assediato allora dai berlusconiani che a viale Mazzini cercavano in tutti i modi di togliergli la poltrona e - forse anche peggio - la presenza in video.
Perché Mineo s’era costruito e poi anche conquistato un suo pubblico di affezionati e non faceva un brutto giornale. Capelli argentati, occhiali a lenti scomponibili negligentemente abbandonati dalle parti del taschino, maglioni anche arditi, «fluorescenti» li definiva la stampa di centrodestra, e poi quella tazza di caffè che sulla scrivania dava il titolo al programma mattutino. «Caffè rosso », accusavano, «l’ultimo dei curziani», da Sandrino Curzi, storico rappresentante del Pci in Rai; come pure «l’ultima raffica di TeleKabul », che con «TeleNusco» (Tg1) e «TeleCraxi» (Tg2) completava la triade delle culture politiche applicate all’informazione del servizio pubblico, per così dire.
Ma Rainews24 è stata davvero un’isola di opposizione, la classica spina nel fianco del governo del Pdl.
Per le interviste e soprattutto per le dirette: pure il «No B-day» e addirittura «Rai per una notte» di Santoro aveva mandato in onda. Il vice ministro Romani sosteneva: «Il Tg3 fa danni per 30 minuti, Rainews per 24 ore». A lungo il direttore generale Masi lo pedinò cercando il colpo definitivo. Ora gli voleva mettere al fianco uno dei loro, per esempio Masotti; ora tentava di spedirlo sul satellite. Ma Mineo resisteva, appunto.
La cosa un po’ buffa, oggi, è che proprio il Pd lo difese con energia. Così Franceschini scrisse al presidente della Camera e la Finocchiaro a quello del Senato. Fini e Schifani, a loro volta, si rivolsero al presidente della Vigilanza Zavoli. «Con la rimozione di Mineo - sosteneva l’ex ministro Gentiloni, divenuto acceso renziano - si profila una Rai a pluralismo zero». E Mineo, che nel fortino stava asserragliato dal 2007, restò lì fino al gennaio 2013, quando Bersani gli chiese di correre come capolista al Senato in Sicilia.
Diceva in quegli anni, con sospetta modestia, di sentirsi «un palloncino gonfiato dal conflitto d’interessi». Se n’è uscito ieri, dopo l’intemerata cinese di Renzi: « Domine, non sum dignus ». Eppure, diversi elementi possono far credere che stare al centro del dibattito, se non del «futuro» politico dell’Italia, non gli sia poi così dispiaciuto.
Ora, la questione del Senato sarà importantissima, anzi decisiva. Ma il punto, forse sottovalutato dal premier e ancor più dai suoi accaldati mandatari, è che i giornalisti, specie quelli televisivi, non solo sono piuttosto bravi a far parlare di sé, ma quando si accorgono di essere loro, «la notizia», si può star certi che la coltivano, la allestiscono e quindi finalmente la somministrano con una cura pari all’alta considerazione politica che hanno di se stessi.
In altre parole, le grane sono all’ordine del giorno. Vicedirettore del Tg3, poi corrispondente da Parigi e New York, Mineo ci è abituato, fin da ragazzo. «Vengo da una famiglia di intellettuali siciliani » è l’esordio che si può leggere nel suo sito alla voce «Chi sono ». Il nonno, che si chiamava Corradino come lui, è stato un celebre matematico, accademico dei Lincei. Lo zio, Mario Mineo, un grande economista marxista e uomo politico della sinistra rivoluzionaria, anche d’ascendenza trotzkista e dunque ereticale, fondatore della rivista Praxis.
Corradino il giovane si è fatto le ossa nei gruppi a Palermo. Sempre dall’autobiografia: «Mi ha scelto Luigi Pintor e il mio primo giornale è stato il Manifesto ». Adesso ha 64 anni e una vita abbastanza piena di successi. Pure questo, insieme alle sue rispettabili convinzioni, può averlo spinto ad assumere la figura del bastian contrario o almeno, in sottordine, del guastafeste. Non ha votato il bis di Napolitano, ha votato obtorto collo per Letta, si è opposto, con complicati calcoli, al versare la quota associativa dei parlamentari - lui in verità l’ha definita «il pizzo» - al Pd.
Ieri è divenuto ufficialmente una risorsa narrativa. E’ difficile che lo ammetta, ma sarebbe troppo pretenderlo.
Filippo Ceccarelli, la Repubblica 13/6/2014