Fabrizio Galimberti, Il Sole 24 Ore 12/6/2014, 12 giugno 2014
CINA E ITALIA, I DUE VOLTI DELLA CRESCITA POSSIBILE
L’ideogramma cinese per il nome "Italia" è "il Paese delle idee". Si tratta senz’altro di un complimento, chino su un passato glorioso. Un passato che i sempre più numerosi turisti cinesi in visita alle nostre città d’arte sanno apprezzare. Come scrisse G.K. Chesterton nel suo saggio "St. Francis of Assisi", è da annotare «il curioso fatto che circa tre quarti dei più grandi uomini che siano mai vissuti vennero da quelle piccole città» dell’Italia dal Duecento al Cinquecento, da San Francesco a Caterina da Siena, da Leonardo a Michelangelo a Dante a Tiziano...
Ma quale immagine dell’Italia vive oggi nel conscio e nell’inconscio della Cina? Quella di un Paese mediocre che si aggrappa a un passato glorioso? La Cina e l’Italia sembrano oggi le due lame di una forbice: la lama superiore, quella cinese, si impenna verso l’alto in una tumultuosa ascesa di produzione e di domanda; la lama inferiore - l’Italia - piega verso il basso, con un Pil che scende a lustri addietro (a livello di Pil per abitante). Ma le lame possono ancora tagliare? Certamente sì. Pochi giorni fa a Milano la Italy-China Foundation, presieduta da Cesare Romiti, ha siglato un accordo con la Bank of China per creare servizi finanziari rivolti alle piccole e medie imprese (Pmi) dei due Paesi. Come ha detto il rappresentante cinese, le complementarità fra i due apparati produttivi sono forti: il basso costo del lavoro in Cina (ormai non così basso come prima ma ancora una frazione di quello italiano) si può ben sposare all’eccellenza tecnologica di tante realtà produttive della penisola, creando un situazione "win-win".
La missione di Matteo Renzi in Asia e segnatamente in Cina ha meno avventura e meno ambizioni di quelle di Marco Polo e di Matteo Ricci. Ma è importante, per ragioni sia sostanziali che simboliche. Il simbolo è quello di un Paese che vuole scrollarsi di dosso la prostrazione di decenni, e, anche se la Cina ha il problema opposto - come rallentare una crescita troppo forte? - rappresenta, nel bene e nel male, un dinamismo che noi abbiamo perso.
O che forse abbiamo ritrovato in quel confuso laboratorio istituzionale che incornicia la politica italiana, ma non in una società e in un’economia che, accanto a barlumi di speranza, vede ancora poca voglia di spendere e molta voglia di attendere.
Le ragioni sostanziali sono più mondane. Quando si parla di Cina i superlativi si sprecano. Quest’anno vedrà probabilmente il sorpasso degli Stati Uniti (in termini di parità di potere d’acquisto) sul podio della più grande economia del mondo. Un ritorno che non sorprende affatto dato che per la maggior parte del secondo millennio l’economia cinese già occupava quel posto. E i fondamentali sono ancora dalla parte della Cina: fino a non molto tempo fa i sottoccupati nelle campagne cinesi erano pari all’intera forza-lavoro americana. La Cina ha problemi formidabili - i passaggi dalle campagne alle città moltiplicano la necessità di infrastrutture ancora insufficienti, l’inquinamento non è più sopportato da una popolazione alla quale il "panem et circenses" non basta più... - ma ha altrettanto formidabili capacità di intervento: la situazione di finanza pubblica è sana e lascia spazio a politiche di supporto, mentre il capitale umano continua a migliorare in qualità e quantità.
I rapporti economici con la Cina sono fortunatamente passati dall’antagonismo (copia dei nostri prodotti, concorrenza sleale, dumping...) alla collaborazione. «Se non puoi batterli, unisciti a loro», dice un vecchio detto. E sono ormai molti gli episodi di insediamenti italiani in Cina e cinesi in Italia. Il costo del lavoro è importante, ma non è la sola variabile che conta. La Canon giapponese qualche anno fa fece i conti e si accorse che qualsiasi prodotto per il quale il costo del lavoro era superiore al 5% del costo totale, conveniva farlo in Cina; ma gli "stepper" usati nella fotolitografia per stampare semiconduttori avevano un costo del lavoro di solo il 2% e quindi rimasero in Giappone. Questo esempio estremo sottolinea tuttavia l’importanza della qualità e dell’innovazione nelle decisioni di insediamento. Decisioni che vanno nei due sensi: ci sono stati investimenti del Celeste impero in Italia che illustrano i vantaggi per i cinesi di avvalersi dei nostri vantaggi competitivi (qualità e innovazione) per fare della penisola una testa di ponte per il mercato europeo.
Il Presidente del consiglio Matteo Renzi ha una grande occasione e un’immensa platea per presentare un’Italia che vuole far leva sulle prodezze dei suoi settori di punta in un Paese come la Cina dove una classe media in continua crescita andrà ad apprezzare un Made in Italy che, malgrado la crisi, non ha perso colpi. Ma, al di là degli aspetti mercantili, c’è una storia millenaria da riannodare lungo le tradizioni e le culture di una nuova "via della seta".
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Fabrizio Galimberti, Il Sole 24 Ore 12/6/2014