Antonio Armano, Il Fatto Quotidiano 12/6/2014, 12 giugno 2014
“GLI ARTISTI? ASSAI PERMALOSI ACCETTAVANO SOLO SUPERLATIVI”
[Intervista ad Alberto Arbasino] –
Nel Laghetto delle danze, mentre riceve il premio Vittoriale, Arbasino intona la Butterfly (“Me ne starò nascosta/ un po’ per celia e un po’ per non morireeeee”). A Puccini e D’Annunzio sono dedicati due degli oltre novanta profili del piacevolissimo Ritratti italiani. Se qui Arbasino è in completo scuro e occhiali da sole, nella foto in copertina è scalzo e sdraiato sul divano di un sontuoso studio. Che sia quello che Moravia ha descritto in un perfido raccontino sul Corriere (“Il macabro in salotto”), in vista dell’uscita di Fratelli d’Italia? Una sorta di avvertimento: l’ambiente intellettuale temeva di vedersi rispecchiato nel romanzo-fiume.
Era così come descrive Moravia lo studio, finto e morto, in un terribile stile Luigi Filippo?
Lo studio è lo stesso (in via del Consolato 6, a Roma) nella foto sulla copertina. Venivano parecchi amici, con allegria, da Kiki Brandolini con Giovanni Urbani a Goffredo Parise. Ricordo una serata con Gadda e i due Bellonci, Goffredo e Maria, perché avevo portato dei 45 giri dall’America, ed erano interessati per quella novità. Ma Gadda fu sconvolto da un minorenne che ripeteva “I’m not a juvenile delinquent” mentre gli venivano rinfacciati dei reati.
Nonostante la resistenza di Bassani, di cui ricorda la scherzosa storpiatura del titolo più famoso (Il giardino dei Finti Pompini), Fratelli d’Italia vede la luce. Prima passa per l’ufficio legale Feltrinelli. Qualcuno aveva rintracciato nel manoscritto la caricatura del proprio tavolino accusandola del reato di leso tavolino. Ha dovuto cambiare qualcosa?
Lettura molto legale, certamente per eliminare mariti e arredi e cappellini troppo riconoscibili, benché involontari. Si finì per dover cambiare qualche cappellino o sinonimo. Per il sesso, invece, tutto cool e ne varietur.
Tra le pagine più belle ci sono quelle su Roberto Longhi. Fanno passare la voglia di scrivere per l’impossibilità di una descrizione tanto felice: “Laddove tra i dandies Contini e Longhi la differenza appariscente è che nella ricerca della parola più estrosa e giusta Longhi dà l’impressione di essersi vestito al buio accostando camicie e golfini con effetti casuali e sublimi, mentre sembra che Contini abbia speso ore davanti allo specchio”. Longhi cantava Mina ed era più easy...
Longhi scherzava volentieri. Sentiva in tv Mina alla Bussola, e la rifaceva canticchiando. Con qualche costernazione degli assistenti ufficiali o ufficiosi, non certo ancora pop.
Agnelli aveva la “verve di un sovrano settecentesco”, ma produceva auto poco chic. Chiamava da uno dei primi cellulari in macchina, ma quando anche altri si sono messi al passo e gli telefonavano faceva rispondere che era sull’altra linea. Oggi il privilegio è non avere il telefonino, e si dice che pure lei...
Effettivamente non porto mai un telefonino, così come non tengo mai qualche email. Le richieste alle ore dei pasti sono ovviamente frequenti.
Tra gli amici rimpianti emerge Pasolini. Come altri scrittori diventati aggettivi (pasoliniano appunto), è più citato che letto. Che cosa salva della sua opera?
I romanzi di Pasolini sono rimasti dialettali, e nulla più, mentre Gadda riempiva ogni frase di termini augusti e bassi, dialettali o sublimi, un groviglio di parole tecniche, antiche, esotiche... Non voleva nipoti, aveva ragione... Però i suoi versi rimangono stupendi: Le ceneri di Gramsci.
Perché Strehler ce l’aveva con lei al punto da non volersi sedere allo stesso tavolo?
Gli artisti d’una volta erano assai permalosi. Accettavano soltanto i superlativi, e in su. Così apparivano ridicoli.
Un elemento ricorrente in Ritratti italiani è il confronto con l’offerta culturale di ieri. Cordelli sostiene che una volta c’erano autori la cui grandezza non si poteva discutere. “Marmellata”, “palude”, le definizioni per le migliaia di titoli sfornati nelle librerie oggi.
Sono definizioni giuste, quando tutti leggono un analogo best-seller, e ci si basa sulle classifiche delle tirature. Mentre le pagine sulla cucina vanno piuttosto alla ricerca delle ricette esclusive di qualche esclusivo chef. Chi vorrebbe una pizza identica a un milione d’altre pizze? O forse, magari, sì. Come per le bevande e le bibite. Omologate, identiche, vini della casa, o bottiglie di vigneti rari?
Più volte depreca il sentimentalismo e l’intimismo che dilagano in letteratura. E sembra cercare l’effetto opposto quando descrive l’incontro nell’albergo autostradale con un Fellini scarruffato, confuso, triste, che mendica compagnia. Davvero non c’era più niente da dirsi?
Un triste ultimo incontro, e in luoghi non propizi.
In tema di confronti: ha visto La grande bellezza? Che gliene pare? È ancora una grande bellezza Roma o una ’grande monnezza’ come sostengono i detrattori di Marino?
Su La Grande bellezza non vengono idee, mentre per strada si vedono pessimi aggiustamenti che diventano pozzanghere . Sarà stupido ripetere sempre “all’estero”, ma all’estero le pozzanghere non ci sono. O non si vedono.
È ipotizzabile pensare alla Morante, Pasolini o Parise che si scambiano messaggi sulle bacheche Facebook, come i giovani scrittori oggi?
Bacheche? Facebook? Mah.
Si lamenta della solitudine. Le sembra che ci sia ancora a Roma una comunità artistica o è cambiato il modo di fare lo scrittore?
Continuo a vedere vegliardi coetanei, ma evidentemente non c’è più un’abitudine alla conversazione, come nella via Veneto che si fece in tempo a frequentare. Di cosa possono discorrere, gli autori e le autrici da un milione di copie?
Antonio Armano, Il Fatto Quotidiano 12/6/2014