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 2014  giugno 12 Giovedì calendario

Ugo Magri per “La Stampa” Una strana euforia si è sparsa ieri in Senato, come se il grande accordo sulle riforme fosse cosa fatta

Ugo Magri per “La Stampa” Una strana euforia si è sparsa ieri in Senato, come se il grande accordo sulle riforme fosse cosa fatta. Addetti ai lavori che annunciavano: «Finalmente ci siamo». Altri che puntualizzavano: «Rimangono solo pochi dettagli da chiarire». Con la presidente della Commissione affari costituzionali, Finocchiaro, che gettava acqua sul fuoco ma in realtà vi spargeva benzina («Per ragioni scaramantiche non vorrei dire che siamo alla vigilia dell’intesa...»). Insomma, questo era il clima ultra-ottimista di Palazzo Madama. Sennonché poi nessuno, tra gli esperti, sapeva spiegare in che diavolo di maniera fosse stato sciolto il nodo del Senato: se sarebbe stato elettivo, come vogliono molti senatori di entrambi gli schieramenti, o non elettivo, come invece pretende Renzi. Il quale tra l’altro si trova in Estremo Oriente, tornerà in patria domani e dunque il suo incontro chiarificatore con Berlusconi non potrà aver luogo prima della prossima settimana. Ma allora, se quei due nemmeno si sono visti, di che accordo si sta parlando? E tra chi? Il mistero è svanito nel pomeriggio, quando un Calderoli tutto raggiante ha dato conferma che «nove su dieci è fatta». Anzi, «dieci su dieci», ha bisbigliato qua e là. Il suo buonumore nasce dal fatto che molto è riuscito a portare a casa. RENZI BERLUSCONI MONTEZEMOLO AL TEATRO REGIO DI PARMA RENZI BERLUSCONI MONTEZEMOLO AL TEATRO REGIO DI PARMA Il Pd ha dato l’ok a gran parte delle richieste padane, specie sulla riforma del Titolo V che disciplina i rapporti tra Stato centrale e regioni: per la Lega è musica celestiale. Che poi il Senato venga eletto o meno, dopo questo risultato al Carroccio non interessa granché. Anzi, per dirla tutta non gliene importa un bel nulla. E siccome a Palazzo Madama la Lega conta 15 senatori, cioè un numero sufficiente a garantire che la riforma possa andare avanti con o senza Forza Italia, ecco dunque come è nata la voce di una strada per le riforme tutta in discesa. A questo punto Berlusconi non solo è isolato, ma si trova di fronte a un dilemma. Se manda all’aria il suo patto con Renzi, le riforme forse si fanno lo stesso con una maggioranza più risicata, e l’ex Cavaliere finisce nel limbo dell’irrilevanza. Se invece Silvio tiene fede alle intese del Nazareno, rischia che gli esploda la fronda in Senato, dove il capopopolo è Minzolini. CORRADINO MINEO CORRADINO MINEO Ieri sera, gran consulto a Palazzo Grazioli come al solito senza conclusioni definitive. Toti, consigliere politico, fa intendere che magari alla fine l’accordo probabilmente si farà. Però solo in extremis, e a patto che nei prossimi giorni Renzi venga incontro a Forza Italia sulla composizione del futuro Senato «perché, con tutti quei sindaci che la proposta Boschi vi vuole mettere, la sinistra lo controllerebbe per i prossimi due secoli». Renzi, a sua volta, non mira a rompere con Berlusconi. Tenta di mettergli paura per costringerlo a più miti consigli; però sa di averne bisogno per due ragioni. La prima: non desidera ritrovarsi a sua volta nelle mani di Calderoli, di Alfano o di Pierfurby Casini. La seconda: senza la maggioranza dei due terzi in Parlamento, poi dovrebbe affrontare un referendum confermativo dall’esito incerto... Insomma, sembra una partita a poker in cui barano un po’ tutti. Chi per ora ne fa le spese è il dissidente Mineo. Il Pd ha scelto la linea dura e l’ha levato dalla Commissione delle riforme con la scusa che era lì a titolo provvisorio. La ragione vera è un’altra: Renzi vuole far vedere a Berlusconi che lui sa mettere in riga i suoi. Dimostrasse Silvio che riesce a fare altrettanto...