Giordano Stabile, La Stampa 12/6/2014, 12 giugno 2014
BAGHDADI, LO JIHADISTA CHE HA RUBATO I SEGRETI AI NEMICI AMERICANI
Di lui abbiamo solo una foto segnaletica in bianco e nero rilasciata dal ministero degli Interni iracheno nel 2009. Stempiato, sopracciglia folte, baffi e barba. L’unico nome certo è quello di battaglia: Abu Bakr al Baghdadi. Per i servizi occidentali il nome in codice è «lo jihadista invisibile». Quello vero è forse Ibrahim Ali al Samarrai, cioè di Samarra. Sappiamo che è nato lì nel 1971 e che ha ottenuto un dottorato in storia e dottrina islamica. E che è l’uomo che guida il primo vero Stato governato da Al Qaeda. Anzi dall’organizzazione islamista che ne ha di fatto preso il posto: l’Isis. Lo Stato islamico dell’Iraq e della Siria. Da lui fondato nel 2010.
Ora che le colonne motorizzate dell’Isis marciano sempre più vicine a Baghdad, in una guerra lampo che sembra la versione rovesciata dell’invasione americana del 2003, è facile pensare a un sorriso compiaciuto sul volto del «vero erede di Osama bin Laden», definizione dell’analista del «Washington Post» Terrence McCoy. Nel 2003, davanti ai carri Abrams che avanzavano, l’allora predicatore salafita e docente di Sharia all’università, decide di imbracciare il kalashnikov e di darsi alla macchia nelle regioni semidesertiche dell’Ovest del Paese, fra Falluja, Ramadi e il confine con la Siria. Da lì comincia la scalata al potere.
I «gruppi di resistenza» colpiscono e si nascondo nei quartieri poveri delle città del «triangolo sunnita» fra Falluja, Ramadi, Samarra. Dove vivono i sunniti iracheni, minoranza al potere con Saddam Hussein, tagliati fuori da tutto, a cominciare dai posti pubblici, sotto il nuovo Iraq a trazione sciita. Nel 2004 e nel 2005 con furiose battaglie, anche a colpi di bombe al fosforo, gli americani riprendono le città ribelli. Al Baghdadi viene catturato e finisce nella prigione di Camp Bucca, la grande base Usa vicino a Bassora.
Qui le ricostruzioni sono confuse. Secondo il suo biografo non ufficiale Mushreq Abbas, alcuni pentiti di Al Qaeda lo descrivono, per screditarlo o per sviare, «come un contadino convertito alla guerra santa nel carcere». In realtà in carcere rafforza i suoi legami con Al Qaeda. Altri raccontano che è «un reduce dall’Afghanistan», ma né gli iracheni né gli americani capiscono che è un leader. Al massimo un «intellettuale della jihad», con la cravatta diligentemente annodata, in quella foto segnaletica scattata a Camp Bucca. Nel 2009, con la «pacificazione» conclusa, al termine delle operazioni guidate dal generale David Petraeus, viene liberato.
Altre versioni, filo-islamiste e fra realtà e mito, parlano di un faccia a faccia con Petraeus. Il generale spiega i segreti delle vittorie militari «durature». Uno: il rispetto «di prigionieri e popolazioni civili». Due: la disponibilità «illimitata» di armi e soldi. Tre: attaccare solo con forze «preponderanti». Al Baghdadi in realtà fa tesoro a suo modo degli insegnamenti sul campo del generale, che ha sbaragliato la rivolta anti-Usa. Il capo qaedista locale, Al Zarqawi «il decapitatore», è stato ucciso nel 2006. Il suo successore fa la stessa fine nel 2010. Al Qaeda è al lumicino, in Iraq come in Afghanistan.
Al Baghdadi prende le redini degli islamisti. E così prudente, racconta un ufficiale dei servizi iracheni al giornale «Al Monitor», «che nessuno, persino fra i suoi stretti collaboratori, l’ha mai incontrato a volto scoperto». Opera una «ritirata strategica» per riorganizzarsi. Cambia la strategia di Al Qaeda. Brutale sharia sì, ma con pragmatismo. Fa accordi con le tribù locali. Fa giustiziare gli ufficiali sciiti dell’odiato governo di Nouri Al Maliki ma salva i soldati sunniti. È la rottura con il leader storico di Al Qaeda, Ayman Al Zawahiri, che lo scomunica. Poco importa. Al Zawahiri è «in una grotta», fra Afghanistan e Pakistan. Conta sempre meno. Lui è più «virulento e più anti-americano», gli strappa adepti persino in Yemen.
Per i soldi e le armi, usa l’astuzia e ha un colpo di fortuna. «Raccoglitore instancabile di fondi», convince le influenti famiglie dei Paesi dei Golfo a esercitare la carità islamica nel triangolo sunnita, in cambio Al Qaeda non attaccherà mai nei loro territori. Intercetta il denaro. Nel 2011 scoppia la guerra civile in Siria. Gli stessi uomini del Golfo mandano soldi e armi ai ribelli. Al Baghdadi sposta le sue formazioni attraverso il confine poroso nel deserto fra Iraq e Siria. Conquista territori, intercetta soldi e armi.
Quando accumula una forza preponderante attacca. A gennaio prende Falluja e Ramadi. Resiste alla controffensiva, per lo più inefficaci raid aerei degli F16 di Al Maliki. E prepara il colpo finale, con pianificazione prussiana dell’attacco, affidato al luogotenente Abu Bakr al Khatuni. Prima spinge verso Nord i guerriglieri curdi, per toglierli di mezzo e nascondere i veri obiettivi. Poi scatena l’offensiva su due direttrici: verso Mosul, e verso Sud-Est, con obiettivo Kirkuk. Diventa il «conquistatore di Mosul». Agli occhi degli islamisti, ha superato Bin Laden.
Giordano Stabile, La Stampa 12/6/2014