Alberto Mattioli, La Stampa 12/6/2014, 12 giugno 2014
I TASSISTI APPIEDANO L’EUROPA “UBER CI STA UCCIDENDO”
L’ennesimo sciopero dei tassisti milanesi può essere raccontato da tre punti di vista: quello dei tassisti, quello degli uberisti, cioè di chi fa il tassista senza esserlo grazie alla famigerata app Uber, e quello delle vittime. Appartenendo alla terza categoria, posso testimoniare in prima persona. Sono sbucato dalle architetture assiro-milanesi della stazione Centrale intorno alle 11 di ieri, con due enormi valigie in mano e più di 30 gradi nell’aria. Quando ho visto che il parcheggio dei taxi di piazza Luigi di Savoia era coperto di tazebao ho capito che si sarebbe di nuovo combattuto il t-day, il giorno più lungo dei taxi milanesi.
Subito un autista gentilissimo mi ha spiegato, chissà perché in inglese, che lui avrebbe trasportato soltanto anziani, disabili o partorienti, quindi non me. Di conseguenza, per arrivare a casa (non più di tre chilometri in linea d’afa) ho dovuto prendere una metropolitana, il passante ferroviario e infine trascinare i bauli sotto quello che Vincenzo Monti avrebbe definito «il bel zaffiro dell’italico cielo» e tutti gli altri una giornata impeccabilmente bella ma schifosamente calda.
Welcome to Milan. Gli stranieri allibiti, peraltro, non possono nemmeno considerare il disagio l’ennesimo folkloristico sintomo della tradizionale disorganizzazione italica, visto che scioperavano i tassisti di tutta Europa. In ogni caso, in Centrale si raccoglie una preziosa collezione di colorite imprecazioni in quasi tutte le lingue del mondo. Inutile però protestare e/o pregare: l’adesione allo sciopero dalle 8 alle 22 è massiccia (la Cgil parla di «grande risposta»), quindi valigie avanti e pedalare.
Frattanto si scopre che Uber ha preso lo sciopero al balzo regalando ai suoi clienti, per tutta la giornata, uno sconto del 20%. Non facile da applicare: nel primo pomeriggio risultava impossibile trovare un’auto, perché il sito era evidentemente oberato («uberato», ride amaro un tassista vero) di richieste. Di più: Uber ha invitato i tassisti a usare, anche loro, la sua app. «Ma noi le app le abbiamo, da tre anni, e funzionano benissimo. Il problema non è la app, ma il dumping che stanno facendo», tuona in itagliese dal parcheggio inutilmente pieno della Centrale il tassista Luca Lamperti.
E Giovanni Maggiolo della Cgil rispiega le ragioni della categoria, che sono buone e molte: la natura di servizio pubblico del taxi, da preservare, il tassametro «controllabile, controllato e piombato» («Non è vero che Uber costa meno: costa molto di più»), la sicurezza di viaggiare a bordo di un’auto identificata e assicurata, eccetera. Tutto giusto. Però è molto più efficace lo sfogo di un collega un po’ più in là: «Insomma, io lavoravo in una fabbrica che ha chiuso. Per pagare la licenza ho investito tutto il Tfr e ipotecato la casa. E adesso mi dite che per fare questo lavoro non serve più?».
L’aspetto interessante della diatriba è che i due litiganti hanno capito che la deciderà la pubblica opinione, cioè del terzo che comunque non gode. È tutto un affannarsi a illustrare le reciproche ragioni. I tassisti distribuiscono volantini e spiegazioni: «Dobbiamo far capire alla gente - teorizza Maggiolo - che non siamo né una lobby né una corporazione, men che meno dei monopolisti, anche perché saremmo gli unici monopolisti al mondo che non stabiliscono i prezzi ma li fanno stabilire da altri, nel nostro caso il Comune. Siamo dei lavoratori che si difendono da una concorrenza sleale e illegale». Sì, ma com’è che a Milano si sciopera e a Roma no? «Qui sono state fatte tutte le comunicazioni del caso nei tempi previsti». Chi vuole intendere intenda.
Dall’altra sponda, ribatte molto all’americana la general manager di Uber Italy, Benedetta Arese Lucini: «Oggi continuiamo a far muovere Milano. Uber ama Milano e Milano ama Uber. Ci dispiace vedere che le logiche corporative del vecchio sistema dei taxi stanno fermando la città. Con lo sciopero, gli unici a rimetterci sono i milanesi. Uber può ben convivere con taxi, autobus, tram, metro, car sharing e ogni altro sistema innovativo di trasporto». Insomma, la controffensiva gioca sulla contrapposizione fra innovazione e conservazione, libera impresa e corporazione, nuovi smartphone e vecchie radio. E poi Arese Lucini annuncia che Uber sarà disponibile, anzi «felice», di partecipare al solito vago «tavolo di confronto» annunciato dal ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi.
Intanto i tassisti ricevono buone parole dal sindaco Giuliano Pisapia, fanno sapere che un «autista fai da te» è stato recentemente denunciato per aver offerto droga durante una corsa e che se le Ubermacchine in giro sono poche è perché i vigili hanno iniziato a fare controlli e a sequestrarle a chi non è in regola. «Uber è assolutamente legittimo e sicuramente innovativo», ribatte Arese Lucini.
Però confessi, Maggiolo, che la voglia di agguantare un uberista e di dargli una ripassata con i controfiocchi è forte... Lui ride: «Per questo, vede, la Digos è presente in forze», e indica due questurini. Ottimista? «La gente è con noi». Sarà. Ma di solito tutte le battaglie contro le innovazioni sono battaglie perse. Come dice un signore appena sbarcato dal Frecciarossa, evidentemente tanto colto quanto esasperato: «Siete dei luddisti», gli operai che nell’Ottocento distruggevano le macchine. Chissà. Di certo, non finisce qui.
Alberto Mattioli, La Stampa 12/6/2014