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 2014  giugno 12 Giovedì calendario

CIRO, RE DI GOMORRA

[Intervista a Marco D’Amore] –

ROMA
«Più dei complimenti mi hanno colpito le offese, dopo la prima fascinazione la gente ha cominciato a odiare Ciro e aveva voglia di gridarlo. Mi sembra un ottimo risultato: non ci possono essere fan per un personaggio così». Marco D’Amore, 32 anni, nato a Caserta, cresciuto con Andrea Renzi e Toni Servillo a teatro, cuoco con Fabrizio Bentivoglio in Benvenuti a tavola, ha regalato a Ciro l’Immortale il boss di Gomorra-La serie una ferocia lucida. Ai provini il regista Stefano Sollima è andato oltre il fisico debordante e un cespuglio di capelli: «Torna tra due mesi con 20 chili in meno, voglio vedere gli spigoli della faccia». E così è stato. Aveva trovato lo sguardo che cercava: umano e temibile.
D’Amore, come giudica Ciro?
«Da attore non lo giudico, non puoi essere moralista se interpreti un ruolo così. Non lo guardo dall’alto, mi sono messo al suo fianco. Da campano durante le riprese ho fatto fatica a digerire la realtà, perché la vivo come casa mia. Sono stato accolto, mi sono confrontato con gente umile che mi ha aperto il cuore, con bambini di un’intelligenza fuori dal comune».
È più tornato a Scampia?
«Sì, non più come Ciro l’immortale ma come Marco, come cittadino, come amico. Ma era cambiato il loro sguardo, hanno apprezzato l’onestà con cui rappresentavo il male, mi hanno ringraziato: “Molte dinamiche le abbiamo apprese grazie a voi”. Alla faccia di chi dice che un racconto del genere non ha ragione di esistere».
Cos’è Gomorra per lei?
«Un luogo della coscienza, non puoi voltarti dall’altra parte. Sollima mostra la criminalità con gli occhi dei criminali, è con quella realtà inaccettabile che bisogna fare i conti. Il set, per chi sta in quei quartieri, rappresentava ciò che vivono ogni giorno. Quei bambini così intelligenti avrebbero diritto a crescere nella bellezza, ho pensato tante volte a cosa sarebbero diventati tra cinque, sei anni».
Si è molto discusso del fascino del male.
«Ciro affascina, ma poi mostra il suo vero volto. È spietato. Ma è sempre troppo facile dividere il mondo in buoni e cattivi, la realtà è più complessa. Ciro è lo Iago dell’ Otello, sono soldati che costruiscono nella sabbia. Ciro colpisce perché credi alle sue lacrime quando piange, alle carezze che dà alla figlia, e alla sua ferocia: dentro c’è la descrizione dell’umano».
Chi deve ringraziare?
«Sollima. Mi ha scelto quando non ero il personaggio, ma ha visto dietro una coltre l’attore che poteva fare Ciro. Si cambia a seconda del ruolo, in Italia scelgono gli attori dalle foto, il buono ha sempre gli occhi azzurri».
Lei abita a Caserta ed è di casa a Napoli. Non è scappato.
«È una scelta di vita, non lascio la mia terra. Una città come Napoli restituisce una serie di spunti, come dice Toni Servillo: “Napoli è una Comédie-Française en plein air”».
Ora che farà?
«Con Francesco Ghiaccio produrremo Un posto sicuro, sulla Eternit di Casale Monferrato, la tragedia dell’amianto. È la storia di un padre ex operaio e del figlio. Abbiamo girato tanto, ci dicevano: “Bello”, ma nessuno ha voluto produrre il film».
Com’è stato il suo rapporto con Roberto Saviano?
«Sono andato da lui a New York per registrare le conversazioni su Gomorra, dalle radici comuni - frequentavamo la stessa scuola - ai desideri. Posso dire che è nata un’amicizia, martedì guardavamo tutti insieme il finale e l’abbiamo chiamato. Era felice». Dicono che vi somigliate.
Ride. «Nessuno ci aveva pensato prima. L’ho detto a Roberto: ti piacerebbe, ma io sono molto più bello».

Silvia Fumarola, la Repubblica 12/6/2014