Burt Bacharach, la Repubblica 12/6/2014, 12 giugno 2014
QUANDO MARLENE SI MISE A LAVARE I MIEI VESTITI
La prima volta che Marlene e io lavorammo insieme a Las Vegas, non stavo al Sahara. Alloggiavo al motel Bali Hai e un giorno, mentre giocavo a tennis, vidi Marlene passare con una grossa borsa della spesa. A quel tempo non la conoscevo da molto, ma lei prese la chiave dal banco dell’ingresso e s’introdusse nel mio appartamento. Quando venni via dal campo, lei mi aveva preparato da bere il concentrato di sei bistecche. Era estate e sudavo da pazzi, così gettai a terra il completo da tennis e andai a farmi una doccia. Quando uscii, lei mi stava lavando i vestiti. La cosa sorprendente di Marlene era che, malgrado la fama e la celebrità, in fondo al cuore era sempre una casalinga tedesca e faceva tutto il possibile per prendersi cura di me.
Marlene e io ci sbronzammo insieme una sera a Las Vegas e mentre l’accompagnavo alla sua stanza, lei cercò di baciarmi e disse: «Vieni dentro». Ma io non volevo andare in camera da lei. Forse a quel tempo ero abbastanza sveglio da sapere che non avrei potuto dirigere ogni sera l’orchestra di una donna con cui andavo a letto, anche se avessi voluto farci sesso, e non era questo il caso. Sarebbe stato come innamorarsi del fuoco. [...] In paesi come Cile e Argentina era sempre molto difficile per me far passare una ragazza dalla reception del nostro hotel. Però nessuno aveva niente da ridire se due donne salivano insieme, così a volte Marlene mi faceva il grande favore di portare nella sua stanza la ragazza, e poi io passavo a prenderla per portarla nella mia. [...] Il più sorprendente tour con Marlene fu nel 1960, quando lei tornò in Germania per la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale. All’annuncio del tour, i giornali tedeschi furono invasi di lettere da gente che denunciava Marlene come traditrice per avere combattuto col nemico nella guerra. Ciò che in realtà Marlene aveva fatto era stato esibirsi per i nostri soldati con addosso una divisa dell’esercito americano. Odiava Hitler e i nazisti e aveva portato via il maggior numero possibile di suoi amici artisti ebrei prima dello scoppio della guerra.
Il clamore contro il suo ritorno in Germania fu così forte che Norman Granz, il promotore finanziario, fu costretto ad annullare il concerto a Essen. A Berlino riducemmo le serate da cinque a tre e quello che doveva essere un tour di diciassette città divenne di dodici. Prima dell’apertura a Berlino, Marlene tenne una conferenza stampa e disse a un reporter che, poiché tutti i suoi vecchi amici in Germania avevano lasciato il paese o erano morti nei campi di concentramento, lì non le rimaneva nessuno da vedere, tranne l’attrice e cantante Hildegard Knef.
Il 3 maggio 1960 aprimmo al Titania Palast di Berlino. Il prezzo del biglietto era molto alto, perciò in sala c’erano cinquecento posti vuoti. Marlene iniziò lo spettacolo cantando Falling in Love Again in tedesco e poi interpretò The Boys in the Back Room e One for My Baby. Cantò in inglese, tedesco e francese e dedicò una canzone a Richard Tauber, il grande tenore lirico, e a Friedrich Hollaender, che aveva composto le musiche per The Blue Angel.
Entrambi avevano dovuto lasciare la Germania perché ebrei.
Il suo ultimo numero fu I Still Have a Suitcase in Berlin («Ho ancora una valigia a Berlino»), che lei cantò in smoking bianco.
Al termine, il sindaco Willy Brandt incitò alla standing ovation e Marlene ebbe diciotto chiamate alla ribalta. Le recensioni furono tutte molto positive e il pubblico la apprezzò così tanto che a Monaco dovette rispondere a trentasei chiamate alla ribalta. La apprezzarono molto meno nella Ruhr e, mentre attraversavamo l’atrio dell’hotel Park a Düsseldorf, una ragazza isterica che nel periodo della guerra non era nemmeno nata, corse contro Marlene e le sputò in faccia, gridando che la odiava per avere tradito la Germania. Per tutta risposta Marlene dichiarò in conferenza stampa che non si sarebbe mai più esibita in Germania. [...] A Wiesbaden fummo accolti con minacce di bombe [...]. Marlene calcolava con precisione ogni movimento, fumava sempre una sigaretta e a un esatto punto della canzone si spostava dalla sedia. Quando durante lo spettacolo si alzò e si mosse verso sinistra, inciampò sul bordo del palcoscenico e cadde giù, finendo proprio ai piedi di Josef von Sternberg, l’uomo che, anni prima, l’aveva scoperta. Marlene teneva la mano sinistra nella tasca dei calzoni e finì con la spalla contro il pavimento.
Non lo capì subito, ma si era rotta la spalla ed era sotto shock per il dolore. [...] Marlene si rifiutò di prendere analgesici. Invece si legò intorno al braccio la cintura dell’impermeabile e partimmo per la città successiva. Quella sera andò in scena col braccio sinistro legato al corpo con una fascia nascosta da lustrini e strass e feci il possibile perché imparasse a cantare senza muovere le braccia. Marlene non saltò mai uno show. Era una guerriera. [...] Quando fu sul palcoscenico a Tel Aviv, aprì con My Blue Heaven e poi You’re the Cream in My Coffee , entrambe in inglese. Poi disse: «Vorrei cantarvi una canzone come una mamma canterebbe la ninnananna al figlio e il titolo della canzone è Mein Blondes Baby».
Dal pubblico provenne un forte ansito e nella sala scese il silenzio mentre Marlene cominciava a cantare in tedesco. C’era della gente che piangeva – e io pure, come la maggior parte dell’orchestra. Marlene cantò nove canzoni tedesche quella sera e fu una delle esperienze più intense per me, segnò uno spartiacque. Anche se Israele stava già vendendo mitragliatrici alla Germania e gli israeliani giravano in Volkswagen, Marlene infranse la barriera contro l’utilizzo della lingua tedesca in Israele e riuscì a far capire a tutti quanto profondo fosse in realtà il legame fra i due paesi. [...] Una volta volai da Marlene per uno show a Varsavia. Quando l’aereo atterrò, scesi la scaletta sotto una tempesta di neve; Marlene mi aspettava con un’enorme sciarpa di mohair di Dior, che mi avvolse subito al collo, e una fiaschetta di vodka. Bevvi un paio di sorsate e mi ritrovai ubriaco ancora prima di entrare nel terminal, ma quello era il modo in cui Marlene si prendeva cura di me quando eravamo in tour insieme. [...] C’era sempre una specie di tensione con Marlene, perché avrebbe voluto che non la lasciassi mai. Per lei sarei dovuto stare sempre a dirigere la sua orchestra, ma più diventavo famoso e ottenevo successo, più lei rischiava di perdermi.
Marlene lo sapeva, ma era molto orgogliosa di avere visto giusto sulle mie capacità di compositore: ogni volta che avevo una buona recensione, lei la ritagliava dai giornali e la spediva a gente in tutto il mondo. (Tratto da Chiunque abbia un cuore di Burt Bacharach © 2-014 Arnoldo Mondadori Editore S. p. A, Milano Per gentile concessione di Arnoldo Mondadori Editore By arrangement with Luigi Bernabò Literary Agents Traduzione di G. L. Staffilano)
Burt Bacharach, la Repubblica 12/6/2014