Emmanuel Carrère, la Repubblica 12/6/2014, 12 giugno 2014
IL VANGELO DEL NON-ROMANZIERE
Mi piace la pittura di paesaggio, mi piacciono le nature morte, mi piace la pittura non figurativa, ma più di tutto mi piacciono i ritratti. Quando vado in un museo, la prima cosa che guardo sono i ritratti, e penso che se avessi fatto il pittore sarei stato senza dubbio un ritrattista. Del resto, mi considero nel mio campo una specie di ritrattista. [...] Guardate un ritratto, uno qualunque. Vi accorgerete di riuscire a distinguere istintivamente, intuitivamente, senza neanche rendervene conto, quelli che sono stati dipinti dal vero da quelli che raffigurano personaggi inventati, nati dalla fantasia dell’artista. Non c’è bisogno di una guida per essere sicuri che il Monsieur Bertin di Ingres o il doge Loredan di Bellini sono esistiti.
I personaggi di Michelangelo, le vergini di Raffaello, no. Non dico che i primi siano migliori dei secondi, dico soltanto che sono diversi e che questa diversità salta agli occhi. Dopo quella visita, mi sono chiesto se questa diversità, così evidente in pittura, si possa osservare anche in letteratura.
È un problema che m’interessa in modo particolare, perché da circa vent’anni non scrivo più romanzi, nel senso in cui i romanzi sono fiction, opere che mettono in scena personaggi di fantasia. Ormai scrivo libri che vengono definiti, in mancanza di un termine migliore, non fiction, e io per primo insisto, forse con una certa pesantezza, sul fatto che ciò che racconto è vero, che i personaggi che cerco di descrivere hanno il loro modello nella realtà e non sono un parto della mia fantasia.
Allora mi si fa notare, a ragione, che questo argomento del «reale» si espone a molte obiezioni. Posso ripetere quanto voglio che Limonov, per esempio, esiste, ciò non toglie che il Limonov del mio libro sia in parte il Limonov reale e in parte un prodotto della mia fantasia. Io stesso non so bene dove finisca l’uno e dove cominci l’altro. Mi trovo costretto ad ammettere che tra i due non c’è un confine preciso. Questa ambiguità è peculiare della letteratura. Non esiste nel cinema. I critici potranno anche dirvi che la cosa è complicata, che i confini tra documentario e fiction sono sempre più vaghi, ciò non toglie che un confine ci sia, e in realtà sia chiarissimo. In un film di fiction i personaggi sono interpretati da attori. In un documentario i personaggi che si
vedono sono veri. [...]
* * *
C’è un motivo che mi turba e mi ha aperto gli occhi. È il libro al quale stavo lavorando durante il mio soggiorno a Santa Maddalena. Soltanto tre mesi fa non ne avrei parlato, perché il libro non era terminato, e so per esperienza che non bisogna parlare dei libri che si stanno scrivendo finché non sono terminati: la minima confidenza, soprattutto quando è un po’ euforica, la paghi ogni volta con una settimana di scoramento. Ma ora il libro è finito, uscirà in Francia quest’autunno, e in Italia la prossima primavera. Posso dunque parlarne, e non soltanto posso parlarne, ma ho voglia di parlarne.
Non è facilissimo farlo in poche parole, perché è un grosso libro al quale ho dedicato sette anni della mia vita. Diciamo che è un racconto sugli albori del cristianesimo. È ambientato tra il 50 e il 100 dopo Cristo, quando nessuno immaginava ancora di vivere «dopo Cristo». I fondali sono la Grecia, Gerusalemme e Roma, e le star quegli uomini che noi chiamiamo san Paolo, san Pietro, san Giovanni ecc. ma che a quell’epoca si chiamavano semplicemente Paolo, Pietro, Giovanni ecc. Non erano santi con le aureole, ma uomini, complicati e fallibili come tutti noi. Come tutti noi, litigavano, erano invidiosi, ognuno di loro era convinto di saperne più degli altri. L’unica cosa che avevano in comune era una fede estremamente strana, e la cosa più strana di tutte è che questa fede che di norma sarebbe dovuta scomparire con loro è perdurata, in meno di tre secoli ha divorato dall’interno l’impero romano, e ancora oggi è seguita da un quarto degli uomini che vivono sulla terra.
Questa fede, come tutti sapete, si fonda sulla vita, l’insegnamento, la morte e, secondo i credenti, la resurrezione di un predicatore galileo chiamato Gesù di Nazareth. Si può pensare quel che si vuole di lui e di quello che del suo messaggio hanno fatto gli uomini, ma non si può negare che Gesù sia una delle figure più importanti della nostra storia. Non penso di allontanarmi molto dal vero se dico che è, fra tutte le figure umane, quella che è stata più spesso rappresentata. Bene, tutte queste rappresentazioni, pittoriche, letterarie, cinematografiche, si basano su quattro brevi racconti che messi in fila stanno in un libro tascabile e sono stati scritti grosso modo tra i cinquanta e gli ottant’anni dopo la morte di Gesù, da quattro autori molto diversi. Mi è venuta voglia di sapere chi fosse uno di quegli autori. Ho scelto Luca, per ragioni che non spiegherò qui e che capirete, spero, se leggerete il mio libro. Il quale è diventato quindi una biografia dell’evangelista Luca. È una biografia in gran parte immaginaria, poiché non sappiamo quasi niente di lui. Ho cercato di immaginare chi era Luca, che cosa pensava, in che cosa credeva. Ho cercato di ricostruire il contesto sia materiale sia mentale nel quale ha vissuto. E poiché quello che si chiama Vangelo secondo Luca è una specie di ritratto di Gesù, mi sono ritrovato a fare il ritratto del ritrattista.
Allora, per forza di cose, mi sono posto il problema della somiglianza. Il Gesù ritratto da Luca somiglia al Gesù reale? La domanda non è senza senso perché il Gesù reale non è un personaggio immaginario. È esistito. Che sia resuscitato e fosse figlio di Dio è un altro discorso, che riguarda soltanto la fede. Ma che sia vissuto in quella terra che oggi si chiama Israele, che abbia respirato la nostra stessa aria, e mangiato, pisciato, cacato come ogni altro essere umano, questo nessuno lo mette in dubbio, a parte qualche ateo idiota che sbaglia bersaglio.
Prendiamo una qualsiasi scena famosa della sua vita: per esempio, la comparsa davanti al governatore romano Ponzio Pilato. Questa scena, ce la possiamo soltanto immaginare: resta il fatto però che non è immaginaria. Non è nemmeno dubbia, come la resurrezione di Lazzaro o l’adorazione dei Magi. Ci sono storici romani che la confermano. È realmente avvenuta. [...] Come diceva Kafka: «Io sono molto ignorante: cionondimeno, la verità esiste».
(Traduzione di Francesco Bergamasco)
Emmanuel Carrère, la Repubblica 12/6/2014