Aurelio Magistà, la Repubblica 12/6/2014, 12 giugno 2014
41-42 Magistà fdf IL MIO ALBUM – [Intervista a Gaetano Pesce] – Un’ottima occasione per ficcare un po’ il naso
41-42 Magistà fdf IL MIO ALBUM – [Intervista a Gaetano Pesce] – Un’ottima occasione per ficcare un po’ il naso. Gaetano Pesce. Il tempo della diversità, l’importante retrospettiva che il Maxxi di Roma dedica a Pesce dal 26 di questo mese fino al 5 ottobre, risveglia la tentazione di curiosare un po’ anche nella vita di quello che possiamo considerare il designer-artista per eccellenza, con la sua cifra stilistica diversa da tutte le altre, sempre riconoscibile malgrado i cambiamenti negli anni. Il tempo della diversità anche perché, come ha spiegato lui, «perfino l’industria sta tornando a una produzione che, pur nella serialità, prevede una personalizzazione delle cose, e un giorno forse avremo tutti automobili così diverse e su misura che ci basterà guardare la macchina per sapere se è di una persona che conosciamo, e di chi». Su questa voglia di ficcare il naso nei fatti suoi Pesce è d’accordo. Al punto che ci apre il suo album personale per mostrarci le fotografie dei momenti e delle persone più importanti di tutti questi anni di vita e di lavoro. Alcune sono in queste pagine. Le altre si trovano sul nostro sito design.repubblica.it, tutte commentate da Gaetano Pesce stesso. Prima però parliamo un po’ con lui di questa mostra cui ha contribuito di persona non solo con molti pezzi della sua collezione privata, ma anche contattando e sollecitando amici, musei e collezionisti di tutto il mondo. «La mostra che mi dedica il Maxxi mi lusinga e mi fa molto piacere. In tutti questi anni sono sempre stato troppo occupato a fare per pensare anche a comunicare. Adesso ne ho l’occasione». Una retrospettiva, inevitabilmente, è anche un momento di bilancio. Se si guarda indietro che cosa vede? «È molto raro che mi guardi indietro. Il passato mi disturba e lascio molte opere chiuse nelle casse perché vederle mi da un senso di insoddisfazione. Quindi quando mi guardo indietro penso a che cosa posso fare per migliorare». E se si guarda avanti? «Vedo nuovi linguaggi, nuovi materiali che posso usare, appunto per fare meglio». Lei non è stato profeta in patria. Dopo gli studi di architettura allo Iuav di Venezia è stato un po’ nel nord Europa, a Parigi per una quindicina d’anni e poi a New York. Questa mostra è anche una rivincita? «No, anche se l’Italia continua a dare poco spazio ai giovani. A me interessava rimanere nell’università, ma nel nostro Paese sappiamo tutti come funziona. Ho preferito andare all’estero. Dove avevo già girato molto cercando di incontrare tutte quelle persone che pensavo mi avrebbero aiutato a crescere. L’idea mi era venuta al liceo, leggendo I Sepolcri del Foscolo. Mi ha fatto pensare: è inutile andare sulle tombe dei grandi, bisogna incontrarli mentre sono vivi». E chi ha incontrato? «La lista sarebbe molto lunga. Posso ricordare alcuni di questi grandi. Ho incontrato il fisico Werner Karl Heisenberg, quello del principio di indeterminazione, e gli ho chiesto come sarà il futuro. La risposta all’inizio non l’ho capita: “Il futuro”, mi ha detto, “potrebbe essere un viaggio in cui andando da Vienna al Polo Nord si passerà dall’equatore”. Poi ho compreso che voleva spiegarmi che, vivendo nell’epoca dell’incertezza, il futuro era pieno di possibilità e di sorprese inimmaginabili». Tra le foto del suo album ce n’è una con Alvar Aalto. «La prima volta l’ho incontrato a Helsinki a diciotto anni. Facevo la posta davanti al suo studio. Nell’attesa mi sono preparato una fetta di pane con la marmellata. In quel momento è arrivato lui. Mi ha visto e ha capito che lo aspettavo. Ho stretto la mano che mi tendeva impiastricciandola tutta di marmellata. Se l’è guardata e ha detto: “Andiamo a lavarci le mani”, e mi ha fatto entrare». Fra i grandi dell’architettura e del design ha incontrato anche Le Corbusier... «Sì, che mi ha dato una lezione straordinaria sulla curiosità e la capacità di ascolto. Quando ho suonato alla porta della sua casa parigina pensavo che mi venisse ad aprire una domestica, invece mi sono trovato faccia a faccia con Le Corbusier. Mi ha fatto entrare e mi ha dedicato una mezz’ora. Non sono riuscito a chiedergli niente perché ha cominciato a parlare e le domande le ha fatte sempre lui». Quando ho incontrato Alvar Aalto stavo mangiando una fetta di pane; gli ho stretto la mano e gliel’ho sporcata tutta di marmellata. Lui ha detto: “Entriamo a lavarci”. Aurelio Magistà, la Repubblica 12/6/2014