Stefano Bartezzaghi, la Repubblica 12/6/2014, 12 giugno 2014
QUEL SAPERE IN PILLOLE COME UN UOVO À LA COQUE
Centottanta secondi, cioè tre minuti, cioè il tempo necessario per la bollitura delle meno bollite fra le uova à la coque. Si può riassumere una tesi di dottorato in così poco tempo? O si finisce come quel cavallo che, raccontava Gadda, fu costretto a orinare in un bicchierino da rosolio?
In Francia c’è ora un concorso in cui ogni dottorato ha tre minuti per raccontare in termini comprensibili ai profani anni di studi specialistici. Il dottorato di ricerca si fa dopo la laurea ed è il grado massimo della preparazione accademica. La tesi che lo conclude ha da essere rigogliosa, ardua, non accomodante persino per esperti di discipline affini. Nelle redazioni e nelle case editrici generaliste è la pietra di paragone più estrema. «Non farmi una tesi di dottorato», raccomanda il caporedattore al collaboratore più sordo alle esigenze dell’infotainment culturale. Intende: «trenta righe, e non trecento pagine» e, soprattutto: «non per addetti ai lavori, lo deve capire anche mia nonna».
Il concorso francese sarà allora un divertente cimento o l’ennesimo tributo sull’altare pagano della riduzione in pillole del sapere? L’aspetto di gioco sembra prevalere e questo rassicura. È una gara, non tocca la dignità dei dottorati di ricerca e ci sarà ancora chi si può guadagnare il diritto di confrontarsi senza affanni con le più astruse ed ermetiche pieghe dello scibile, per vedere se ne uscirà spiegatore o egli stesso piegato.
Qualsiasi opera dell’ingegno, per quanto specialistica, deve però saper raccontare la propria stessa necessità a chi non ne avrebbe altrimenti cognizione. Che l’accademia non resti fuori dalla comunicazione mediale di massa è del resto un obiettivo molto sensato. E poi, a volte, quello di cui si ha voglia è proprio soltanto un buon uovo à la coque.
Stefano Bartezzaghi, la Repubblica 12/6/2014