Marco Sodano, La Stampa 11/6/2014, 11 giugno 2014
L’IMPERO DEL DRAGONE CONTA 10 MILA DIPENDENTI ITALIANI E UN GIRO D’AFFARI DA 6 MILIARDI
La Cina grande e la Cina piccola: in Italia ci sono le banche, i cantieri navali e i grandi investitori da una parte, le piccole manifatture tessili, l’artigianato e la ristorazione dall’altra. I primi sono molto meno visibili dei secondi. Non costruiscono chinatown e non appendono lanterne rosse alle finestre dei loro uffici eppure il loro impatto sulla nostra economia è robusto.
Basta ricordare che solo qualche mese fa la Banca centrale cinese ha speso più di due miliardi per assicurarsi il 2% di Eni ed Enel. E State Grid of China, il gestore statale di circa l’80 per cento della rete elettrica cinese, ha fatto sapere di essere molto interessata a una quota di Cdp Reti. Lo stesso Renzi, qualche settimana fa, ha battezzato l’intesa con cui Shanghai Electric ha rilevato il 40 per cento di Ansaldo Energia dal Fondo strategico italiano.
Sono quasi duecento le imprese italiane controllate o partecipate con quote importanti da società cinesi o di Hong Kong: il giro d’affari complessivo vale circa 10mila dipendenti e 6 miliardi di fatturato annuo. Negli ultimi due anni gli arrivi sono in frenata, in conseguenza della crisi che morde l’Europa, ma il flusso degli investimenti è pronto a ripartire. Si va dagli yacht di lusso di Ferretti, il cui controllo è stato acquisito nel 2012 dal Shandong Weichai alla finanziaria Crescent HydePark, che ha comprato il marchio di abbigliamento Sixty. Nell’edilizia è in Italia ormai da tempo Changsha Zoomlion, che si è assicurata il gruppo Cifa nel 2008.
È mezzo cinese il terminal container del porto di Napoli (controllato da Coscon). E poi Haier, primo produttore mondiale di elettrodomestici: ha acquisito nel 2003 la Meneghetti e nel 2009 la Elba e ha una sede commerciale italiana a Varese. È invece di Hong Kong Hutchinson Wampoa, il gruppo che controlla la società di telefonia H3G: i telefonini contano in Italia la bellezza di 2.700 dipendenti e realizzano 2 miliardi di fatturato, sono la prima impresa italiana a controllo cinese per grandezza. Hutchinson controlla anche la catena di profumerie Marionnaud Parfumeries Italia (nel 2005 aveva acquisito la casa madre francese).
Gli squilibri ovviamente non mancano: importiamo merci cinesi per 23 miliardi ed esportiamo per appena nove. Anche il bilancio degli investimenti diretti è ancora pesantemente a favore della Cina, anche se negli ultimi due anni il gap si va riducendo.
Ma è chiaro che i rapporti con il paese del Dragone sono ormai imprescindibili. E dopo il lusso, viene ovviamente il turismo. Che cerca i cinesi, conosciuti come i più spendaccioni del mondo: il viaggio di un cinese in un paese europeo, secondo gli operatori, vale in media intorno ai 5mia euro. Tra il 2011 e il 2012 il flusso di turisti cinesi è cresciuto del 20%, tra il 2012 e l’anno scorso addirittura del 29%: con ripercussioni sull’intero made in Italy perché i nostri marchi del lusso, in Cina, pagano ancora una tassazione molto pesante. Venire a comprare qui è un affare: e infatti tutti gli outlet italiani stampano brochure in cinese. L’Italia è la sesta meta preferita dai turisti in arrivo dal Celeste impero, un filone sul quale conviene scommettere. Nel 2013 in Europa sono arrivati quattro milioni di cinesi.
Marco Sodano, La Stampa 11/6/2014