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 2014  giugno 11 Mercoledì calendario

IL MARCHIO NON È STATO ANCORA REGISTRATO: FINIRÀ CHE CI FREGANO PURE LE DIGHE MOBILI


Di chi è il Mose? Trascurando di porsi questa domanda si corre il serio rischio di squartare una vacca nella macelleria giudiziaria, cercando di capire chi s’è fregato una braciola, nel frattempo distraendosi da una mandria silenziosamente sottratta alla ricchezza collettiva. Il Mose può non solo essere riprodotto, quindi rivenduto, ma già vi sono manifestazioni d’interesse, da diverse parti del mondo. Quindi: di chi è? chi è autorizzato a incassare? Rispondere correttamente serve ad evitare di piangere, domani, su altro latte rubato.
Al solo nominare il Mose, qui da noi, scatta il riflesso che induce a pensare al malaffare. Con calma, negli anni, sapremo dai processi chi è stato pagato illecitamente, quanti soldi sono stati munti alle aziende, quanti sono andati a dissetare la politica suggente e quanti sono finiti nelle riservate tasche degli stessi che possiedono e amministrano le aziende coinvolte. Quando (e se) conosceremo la realtà e le proporzioni avremo le idee più chiare, già oggi possiamo maledire un sistema che non riesce a separare i lavori pubblici dai reati privati. Ma il Mose è anche un gioiello di tecnologia, una soluzione mai prima sperimentata. Gli olandesi, per dirne una, hanno sottratto molte terre al mare, ma lo hanno fatto con le dighe. Che non solo si vedono, ma sulle quali fanno anche correre i trasporti. A Venezia si sta realizzando un’opera totalmente innovativa e di grande portata. L’alluvione più grave risale al 1966, quando la città fu sommersa per 194 centimetri, mentre il Mose è in grado di difenderla fino a 3 metri. Non solo scompare, quando non è in funzione, ma le infrastrutture sotterranee che lo rendono possibile sono a loro volta delle occasioni per creare spazi, collegamenti, trasporti. Anche intrattenimenti. Chi può vendere questa innovazione?
Nel 1975 il ministero dei lavori pubblici bandì un concorso per progettare la difesa di Venezia. Nessun progetto fu considerato adeguato e tutti furono acquisiti (nel 1978) dallo Stato. Nel 1982 nacque il Consorzio Venezia Nuova e l’idea di elaborare un «progettone». Nel 2002 arrivarono i finanziamenti statali per la progettazione: 450 milioni. Il progetto, quindi, è dello Stato. Non ci sono state gare, i lavori sono stati affidati al Consorzio quale concessionario unico, in quello si raccolgono le aziende che possono lavorare a una simile realizzazione. Quindi le mazzette non servono ad alterare la concorrenza, perché non c’è, la concorrenza. Dal 2003 cominciano ad affluire i finanziamenti, sempre statali, e prendono avvio i lavori. Sei miliardi di euro. La conclusione è prevista per il 2016. Quel giorno, si spera, il mondo potrà vedere una meraviglia. Nel frattempo, però, i consorziati hanno creato una società per azioni, Thetis, impegnata ad aggiornare la parte ingegneristica e seguire i lavori, nonché a gestire la sala controllo che si trova all’Arsenale, a sua volta prezioso concentrato di tecnologia, innovazione e intelligenza. Thetis è entrata nella cronaca nera, per le assunzione di parenti e amici dei vari «riferimenti» politici e giudiziari.
In tutto questo non si trova una carta che attesti due semplici cose: a. il marchio «Mose» è dello Stato; b. tutto, dalla progettazione alla realizzazione, è stato pagato ed è proprietà dello Stato. Se in Asia, Arabia o nelle Americhe vogliono rifarlo, anche (giustamente) approfittando delle cose che si sono capite e imparate lavorando a Venezia, sarà una gioia potere vendere loro questo made in Italy. E sarà una gioia, anche, vedere le aziende italiane impegnate a lavorare e guadagnare altrove. Ma sarebbe una vergogna se fossero loro stesse, magari per il tramite di Thetis, a rivendere quel che è di tutti. Occhio, perché quel che, in quel caso, si perderà sarà dieci o cento volte più di quel che fin qui s’è disperso. Né consola l’idea che poi qualche procura dovrà occuparsene. Meglio prevenire. Pertanto, mentre le indagini continuano e i processi sono assai di là da venire, al governo si preoccupino di correre a registrare il marchio e rispondere alla domanda iniziale: Mose è dei cittadini, e per essi dello Stato. Se un privato ne vende i progetti diviene collega di Totò che vendeva la Fontana di Trevi: va fermato. Ben vengano gli acquirenti, cui offriamo volentieri granseola e un giro in gondola, ma quel che pagheranno deve finire nei forzieri dell’erario. In caso contrario non sarà un furto con destrezza, ma un furto con complicità. E non provino a sostenere che nessuno se ne era accorto.