Claudio Angelini, Il Messaggero 12/6/2014, 12 giugno 2014
UN DETECTIVE PER MARILYN
NEW YORK «Quest’amore così violento, così fragile, così tenero, così disperato. Quest’amore bello come il giorno, cattivo come il tempo, quando il tempo è cattivo...». Sembra ispirarsi a Prévert la burrascosa relazione che unì due miti americani degli anni ’50, la fragile Marilyn Monroe e il coriaceo Joe DiMaggio. Un matrimonio fatto di parole dolci ma soprattutto di insulti e di schiaffi, fino alla conclusione inevitabile: il divorzio, naturalmente per crudeltà mentale dell’ex campione di baseball. Però quella storia non finì mai del tutto. Pessimo come marito, Joe si rivelò uno straordinario psicologo e continuò a seguire l’ex moglie nelle varie peripezie della sua vita, confortandola come un padre. E la seguì anche dopo la morte: fu lui a organizzare i suoi funerali, a disegnare la sua tomba e a far sì che due volte a settimana fosse addobbata con mazzi di rose. Quando venne anche il suo turno, le sue ultime parole furono: «Finalmente rivedrò Marilyn». Una storia avvincente come un romanzo dell’Ottocento, che ci viene narrata in una biografia di prossima uscita dal titolo “Joe and Marilyn, legends in love”.
NIENTE MINIGONNE
L’autore, David Heimann, ricostruisce con la pazienza di un detective l’anno di grazia 1954 (in cui i due si sposarono), servendosi di testimonianze preziose, come quella del figlio di DiMaggio, Joe junior, il quale così riferisce un’ordinaria colluttazione notturna tra suo padre e la sua giovane matrigna: «Mi sono svegliato sentendo che papà e Marilyn urlavano. Dopo un po’ lei ha cominciato a correre per le scale e mio padre le è corso dietro, l’ha presa per i capelli e l’ha riportata indietro. Il giorno dopo ho chiesto a Marilyn che cosa fosse successo e lei mi ha risposto di non preoccuparmi, tutto era ok».
Il vecchio campione degli “Yankee di New York” era divorato dal tarlo della gelosia e non aveva tutti i torti. Aveva conosciuto l’attrice nel ’52, quando lei era alle prime armi e lui stava abbandonando lo sport. Si era fatto anche giurare che lei gli avrebbe sottoposto tutti i copioni dei suoi film e si sarebbe vestita in modo castigato. Niente minigonne o camicette scollate. Insomma doveva sembrare una collegiale se non proprio un’orsolina. Lei per un po’ di tempo rispettò l’accordo, almeno sul piano formale, ma non lo rispettò mai su quello sostanziale. Il suo primo flirt extraconiugale fu con il suo professore di dizione, un certo Hal Schaefer, ma Joe se ne accorse, anche grazie all’aiuto di Frank Sinatra, cui lo legavano rapporti di fraterna amicizia. Erano entrambi famosi, entrambi italo-americani ed entrambi avevano avuto la fortuna (o la sfortuna) di sposare due simboli del sesso, non del tutto inclini alla fedeltà.
LA SCORRIBANDA
Frank smascherò i tradimenti di Ava Gardner grazie all’aiuto di un detective che poi mise a disposizione di Joe. E anche l’affair di Marilyn fu scoperto da quell’investigatore privato, con una cimice inserita nel telefono dell’attrice. Ormai Di Maggio e la Monroe si stavano per separare, ma questo non calmò l’ex campione di baseball, anzi. Risultato, una missione punitiva e un appartamento distrutto ad Hollywood. Solo che Joe sbagliò casa. Era convinto che tra quelle mura sua moglie e il suo “voice coach” stessero consumando un rapporto fedifrago, solo che distrusse l’appartamento di una vicina, che poi fu risarcita generosamente da Frank Sinatra, il quale si sentiva corresponsabile della scorribanda dell’amico. Erano altri tempi e i due riuscirono a mettere il silenziatore alla stampa. L’unica eccezione fu un giornaletto locale che uscì con questo titolo: «Il raid della porta sbagliata». Poi Marilyn spiccò il volo, conobbe Marlon Brando, Arthur Miller e John e Bob Kennedy, ma la sua fragilità fu messa a nudo dal cinismo dei suoi partner e Joe riapparve per aiutarla nei momenti estremi. Del resto lei lo aveva sposato a 25 anni (lui ne aveva 37) proprio perché sentiva un disperato bisogno di una figura paterna. Non aveva mai conosciuto suo padre e sua madre era una povera donna maltrattata e malata.
SENZA FINE
Quando anche a Marilyn fu diagnosticata una grave forma di schizofrenia paranoica, DiMaggio si precipitò nell’ospedale psichiatrico dove era stata rinchiusa. I medici si rifiutarono di farlo entrare nella sua stanza e lui minacciò di distruggere il complesso sanitario “mattone su mattone”. I poveri dottori si guardarono negli occhi, poi lo pregarono di entrare e di riprendersi la sua ex-mogliettina, che alla fine disse alle amiche: «Se non ci fosse stato Joe, chissà quante volte mi sarei uccisa». Fu trovata morta a 36 anni nel suo letto e Di Maggio fu l’unico che non la abbandonò. Anche perché era l’unico che avesse continuato ad amarla.