Sergio Romano, Corriere della Sera 12/6/2014, 12 giugno 2014
COME I BELGI RICORDANO IL 1914 STORIE DI MASSACRI E VENDETTE
Leggo sulla stampa belga che sette città del Belgio organizzano nelle prossime settimane una serie di manifestazioni per ricordare le distruzioni della Prima guerra mondiale di cui si ricorda quest’anno l’inizio. A Dinant, dove sono tornato di recente, è sopravvissuto poco, a parte la secolare cittadella militare. Remarque e Hemingway hanno raccontato le battaglie in trincea. Non crede che si tenda a dimenticare come anche la Grande Guerra, non solo il conflitto successivo, abbia comportato la distruzione di molte città, soprattutto in questo Paese?
Piero Heinze
Bruxelles
Caro Heinze,
La distruzione delle città europee dipende in buona parte dall’uso dei bombardieri e fu molto più devastante nella seconda guerra mondiale. Ma non sempre il ricordo di quelle vicende è politicamente «comodo». Mentre i tedeschi hanno cominciato a scriverne soltanto nel primo decennio del nuovo secolo, gli italiani non si considerano autorizzati a ricordare che quei bombardamenti furono prevalentemente anglo-americani, vale a dire di Paesi che divennero, dopo l’8 settembre, amici e alleati. Quanto alle città belghe unite nella memoria della Grande guerra (Visé, Aarschot, Andenne, Tamines, Dinant, Louvain e Termonde), non credo che vogliano ricordare soltanto le distruzioni provocate dalle battaglie. Credo piuttosto che pensino principalmente alle rappresaglie tedesche contro la popolazione civile.
Il caso scoppiò nella tarda estate del 1914 e fu per parecchi mesi l’argomento più frequentemente utilizzato contro la Germania dalla propaganda francese. Apparvero articoli in cui le truppe tedesche venivano accusate di avere fatto strage di civili nelle città occupate e di avere compiuto orrendi delitti. Si raccontava che ai bambini venissero tagliate le mani o addirittura che venissero infilzati sulle baionette. I tedeschi negarono gli atti di ferocia, ma ammisero alcune rappresaglie e sostennero di avere punito in tal modo chi prestava aiuto ai franchi tiratori. Qui occorre fare un passo indietro e ricordare che l’esercito prussiano, durante la guerra contro la Francia del 1870, si era effettivamente imbattuto in formazioni di cecchini che apparivano improvvisamente sui fianchi e alle spalle. Sembra che il ricordo di quella guerra così poco “cavalleresca” fosse una delle maggiori preoccupazioni dei tedeschi sin dall’inizio delle operazioni. Vi furono in Belgio probabilmente episodi di resistenza, ma non tali da suggerire le attività di un movimento coordinato e organico. Agli occhi delle autorità del Reich, tuttavia, questa presunta strategia belga era vergognosa e imperdonabile. In un libro di Max Hastings, pubblicato ora dall’editore Neri Pozza (Catastrofe 1914 ), vengono attribuite all’imperatore Guglielmo II queste parole: «La popolazione del Belgio (…) si è comportata in modo diabolico, per non dire bestiale, nemmeno una virgola meglio dei cosacchi. Hanno tormentato i feriti, li hanno picchiati a morte, ucciso medici e infermieri (…). Il re dei Belgi deve essere informato immediatamente che siccome il suo popolo si è posto al di fuori di ogni osservanza delle usanze europee (…) sarà trattato di conseguenza».
Vi furono osservatori stranieri, soprattutto inglesi e americani, che rifiutarono di credere alle voci diffuse allora in Europa. Ma vi furono anche militari tedeschi che descrissero in diari e memorie, gli episodi di cui erano stati testimoni, spesso giustificandoli. Probabilmente non vi furono mani tagliate e bambini infilzati, se non per opera di qualche psicopatico. Ma quelle vicende ebbero l’effetto di creare una percezione della «barbarie tedesca» che favorì le clausole più inutilmente severe del Trattato di Versailles.