Lorenzo Cremonesi, Corriere della Sera 12/6/2014, 12 giugno 2014
I JIHADISTI IN MARCIA, OBIETTIVO BAGDAD
DAL NOSTRO INVIATO GERUSALEMME — Dopo Mosul, prossimo obbiettivo: Bagdad. L’avanzata diventa conquista, la vittoria si trasforma in trionfo. È come una cascata inarrestabile l’offensiva degli estremisti dello «Stato Islamico dell’Iraq e del Levante» (Isis), la milizia sunnita attiva anche in Siria e lanciata nella guerra totale contro il governo del premier sciita iracheno Nouri al Maliki. Tra lunedì mattina e martedì sera avevano occupato l’intera provincia di Ninive, compresa Mosul, la seconda città dell’Iraq. E nelle ultime ore hanno segnato nuove vittorie. La più eclatante è la presa di Tikrit, città natale di Saddam Hussein e luogo-simbolo del regime baathista defenestrato dagli americani nel 2003. Se guardiamo la carta geografica non è difficile capire il significato di questa mossa. Tikrit si trova a soli 150 chilometri dalla capitale. Dalla parte della regione di Al-Anbar, presso Abu Ghraib, i miliziani sono a una ventina di chilometri da Bagdad. Si sono posizionati a nord e ovest per accerchiarla, ben presto potrebbe cominciare la battaglia finale per il cuore pulsante del Paese. «Domini Bagdad e comandi l’Iraq», diceva Saddam.
Ieri hanno anche terminato le operazioni per assumere il controllo di Kirkuk, che al pari di Mosul si trova tra i campi petroliferi più ricchi della regione. Seguendo il corso del Tigri i miliziani, che viaggiano su veloci pick up, hanno quindi raggiunto la raffineria di Beiji, la più importante del Paese. Qui militari e poliziotti lealisti si sono dati alla fuga. Ancora scene di soldati che abbandonano le divise ed entrano nelle case per prendere abiti civili; ancora armi, munizioni ed elmetti gettati per le strade. Arrivati alla raffineria, i miliziani hanno trattato con le 250 guardie, che in pochi secondi si sono dileguate dopo la promessa che se non avessero combattuto nessuno avrebbe torto loro un capello. Il tentativo degli estremisti è però adesso quello di trovare un modus vivendi con i civili. Queste vittorie li hanno rapidamente trasformati da un piccolo gruppo di guerriglieri operante nelle campagne a responsabili di grandi zone urbane, banche, strutture produttive. Quasi il 55% dell’Iraq è sotto il loro dominio. Ankara chiede notizie dei 48 turchi che si trovavano nel consolato di Mosul, compreso il console. La fuga di oltre 500 mila persone da Mosul, quasi un terzo degli abitanti, rappresenta però uno smacco per loro. Ieri avevano inviato pattuglie a bussare nei quartieri più colpiti per cercare di rassicurare e chiedendo alla gente di tornare a lavorare.
Ma l’impressione è che il peggio debba ancora venire. Maliki promette battaglia. L’Iran lo sostiene con ogni mezzo. «Siamo vittime di un complotto», ha tuonato il premier riferendosi ai volontari stranieri (tra cui molti europei) che combattono nelle file dell’Isis. «Risolveremo questa crisi con le nostre forze. Abbiamo la volontà e i mezzi». Si pensa alla creazione di comitati popolari armati. Il ministro degli Esteri iracheno, Hoshyar Zebari, un curdo originario di Mosul, ha osservato che le forze militari dell’enclave curda nel nord coopereranno con l’esercito per combattere l’Isis. Anche il leader estremista sciita, Muqtada al Sadr, ha promesso le sue «Brigate Bader» per creare «unità della pace» finalizzate alla difesa dei siti religiosi musulmani e cristiani.