Sergio Rizzo, Corriere della Sera 12/6/2014, 12 giugno 2014
L’annuncio Il 3 febbraio 2014 il premier Enrico Letta spiega da Doha che «c’è un importante investimento del Qatar per l’ospedale di Olbia» L’accordo Il 21 maggio viene firmato il protocollo per il completamento e la trasformazione in Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (nella foto Ansa da sinistra il governatore sardo Francesco Pigliaru, il premier Matteo Renzi, il direttore di Qatar Science & Technology Lucio Rispo e il sottosegretario Graziano Delrio ) I veti L’assessorato regionale alla Sanità ha posto una serie di veti (divieto di realizzare reparti di cardiochirurgia, neurochirurgia, terapia intensiva) che gli investitori arabi considerano inaccettabili ROMA — Titolo dell’Ansa di sei giorni fa: «Sì unanime per progetto Qatar su San Raffaele»
L’annuncio Il 3 febbraio 2014 il premier Enrico Letta spiega da Doha che «c’è un importante investimento del Qatar per l’ospedale di Olbia» L’accordo Il 21 maggio viene firmato il protocollo per il completamento e la trasformazione in Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (nella foto Ansa da sinistra il governatore sardo Francesco Pigliaru, il premier Matteo Renzi, il direttore di Qatar Science & Technology Lucio Rispo e il sottosegretario Graziano Delrio ) I veti L’assessorato regionale alla Sanità ha posto una serie di veti (divieto di realizzare reparti di cardiochirurgia, neurochirurgia, terapia intensiva) che gli investitori arabi considerano inaccettabili ROMA — Titolo dell’Ansa di sei giorni fa: «Sì unanime per progetto Qatar su San Raffaele». Nella sinfonia di violini spiccava l’assolo del sindaco di Olbia, Gianni Giovannelli. «La Sardegna può davvero diventare la Silicon Valley della ricerca sanitaria a livello mondiale», dichiarava entusiasta dopo aver incontrato Faisal Bin Thani Al Thani, cognato dello sceicco Kamim Bin Hamad Al Thani. Probabilmente ignorando che nelle stesse ore quell’investimento da 1,2 miliardi di euro della Qatar Foundation stava già traballando. La storia comincia un paio d’anni fa, quando lo sceicco Hamad Bin Kalifa Al Thani, che nel 2013 avrebbe abdicato in favore del figlio trentatreenne, incontra il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano insieme all’allora presidente della Regione Sardegna Ugo Cappellacci. Ci sono in ballo investimenti turistici in Costa Smeralda, ma sullo sfondo già si profila la sagoma del San Raffaele di Olbia, una specie di ecomostro mai completato che si affaccia sul mare cristallino, lascito del crac della Fondazione di Don Luigi Verzé. Il 3 febbraio scorso, l’annuncio del premier Enrico Letta da Doha: «C’è un importante investimento del Qatar per l’ospedale di Olbia». Grazie al petrolio il piccolo emirato arabo trabocca di denari. Il che gli ha consentito di avviare una politica di massicci investimenti esteri. Ma non compra soltanto pacchetti azionari in borsa o quote di industrie: spende anche un sacco di soldi nel campo sociale, dell’educazione e della sanità. Gli investimenti nella sola ricerca raggiungono il 2,8 per cento del Prodotto interno lordo: 6 miliardi di dollari. Nei piani della Qatar Foundation c’è da tempo, per esempio, la creazione di un centro sanitario di eccellenza mondiale. Potevano andare in Germania, ma hanno scelto Olbia. Perché l’abbiano fatto ha forse a che vedere più con i rapporti diplomatici costruiti in questi due anni che con l’esistenza di un abbozzo di ospedale sulla costa sarda. Anche perché i costi di adattamento al progetto che hanno in mente gli arabi non sono certo irrilevanti. Per capirci, si parla di una cifra intorno ai 400 milioni. Sapendo come funziona la burocrazia italiana si potevano prevedere difficoltà soprattutto su quel versante. Mentre invece i primi siluri sono arrivati da un fronte ben diverso. Che il blocco del potere sanitario regionale, dove si cortocircuitano baronie ospedaliere, burocrazia locale e politica, non avesse fatto salti di gioia apprendendo la notizia, era intuibile. Ma non si potevano certo prevedere le proporzioni della controffensiva. In ballo ci sono: una struttura ospedaliera orientata alla ricerca da 280 posti letto convenzionata con il servizio sanitario, un migliaio di nuovi posti di lavoro per una Regione dove la disoccupazione giovanile viaggia intorno al 50 per cento, un investimento complessivo di 1,2 miliardi nell’arco di un decennio e l’opportunità per le nostre università di accedere ai finanziamenti del fondo sovrano del Qatar. E la trattativa che va avanti da oltre un anno è arrivata a un punto morto. Motivo? L’assessorato regionale alla Sanità della nuova giunta di centrosinistra guidata da Francesco Pigliaru ha posto una serie di veti che gli investitori arabi considerano inaccettabili, sospettando che servano a mettere alcune rendite di posizione al riparo della concorrenza. Il primo veto è al reparto di cardiochirurgia, con la motivazione che è già presente in altre città, come Sassari. Il secondo è a quello di neurochirurgia, di cui dispongono gli ospedali di Sassari e Nuoro. Il terzo è alla terapia intensiva. E il quarto è a una decina di posti letto dedicati alla riabilitazione. Il direttore generale dell’assessorato, Giuseppe Maria Sechi, medico ed ex direttore della Asl di Cagliari, sarebbe irremovibile. Con lui anche l’assessore Luigi Arru, ematologo dell’ospedale San Francesco di Nuoro nonché presidente dell’ordine dei medici di Nuoro (incidentalmente fratello del presidente del Banco di Sardegna Antonio Angelo Arru). A pochi giorni dalla scadenza fissata negli accordi per chiudere la partita, ovvero martedì 24 giugno, non si vede una via d’uscita. Anche perché la sanità è materia che dipende dalla Regione, e per di più la Sardegna ha uno statuto che le garantisce larga autonomia. Il governo ha dunque in mano l’unica arma (spuntata) della moral suasion. Resta il fatto che se per il 24 giugno la cosa non dovesse risolversi, lo sceicco del Qatar è deciso ad abbandonare l’operazione di Olbia per andare a investire quel miliardo e 200 milioni in un altro Paese europeo. Con ripercussioni che purtroppo non si fermerebbero alla Sardegna. Perché sarebbe molto complicato per il fondo sovrano dell’emirato, dopo un esito del genere, mettere altri soldi in Italia. Per esempio in una grande impresa in difficoltà qual è l’Ilva, come pure era stato ipotizzato. A questo punto vorremmo sapere se qualcuno ancora si meraviglia perché nessuno viene a investire qui. Nel 2013, dice il Censis, sono entrati in Italia 12,4 miliardi, con un calo del 58 per cento rispetto al 2007. Una cifra pari all’1,6 per cento di tutti gli investimenti esteri mondiali, contro il 2,8 della Spagna, il 4,8 della Francia, il 5,8 della Gran Bretagna. E al Sud, che ne avrebbe un bisogno disperato, non arrivano che le bricioline: il 5 per cento di quell’1,6 per cento, secondo la Confindustria. Sergio Rizzo